Politica

Giarrusso-Paragone, la disfida delle stelle cadute

Italexit vale il 4,5 per cento nei sondaggi, l’ex eurodeputato tenta l’impresa che non è riuscita nemmeno a Di Battista: rifondare il M5s

di Giovanni Vasso -

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Il M5s è passato, nel breve volgere di una legislatura (peraltro ancora incompiuta), dalla rivoluzione alla rifondazione. Sembra lontanissimo il 4 marzo del 2018, quando i pentastellati travolsero tutti e conquistarono poco più del 30 per cento dei consensi. Non solo perché oggi quella soglia elettorale appare a dir poco irraggiungibile. Ma perché quella voglia di spaccare tutto, comprese le liturgie parlamentari, s’è lentamente ma irrimediabilmente spenta. La battaglia delle elezioni nel ’18 è stata un trionfo ma la guerra istituzionale l’ha vinta chi, all’indomani dello tsunami grillino, scommetteva sulla “romanizzazione” dei barbari della democrazia diretta e dell’uno vale uno.

Eppure ogni rivoluzione, a maggior ragione quelle che più appaiono incompiute, lascia tanti delusi. Così accade anche in casa post-grillina dove, con l’addio polemico al M5s, Dino Giarrusso, eurodeputato ed ex Iena, ha annunciato l’intenzione di allestire un “nuovo” M5s. Un Movimento che si ispiri all’ortodossia pentastellata, che rispetti i punti cardine propugnati dalla creatura politica di Beppe Grillo. Il compito però sembra gravoso, tanti ci hanno provato prima di lui senza approdare a granché. Nemmeno Alessandro Di Battista, il grande ex, l’unico effettivamente dotato di un importante seguito nella base pentastellata, ha concretizzato l’idea che, peraltro, viene agitata ogni tre per due anche da Davide Casaleggio.

Al di là dei tentativi, i delusi però rimangono e sono tanti. Valgono, almeno, il 4,5 per cento dei sondaggi. E lo sa benissimo Gianluigi Paragone che, abbandonato rumorosamente il M5s con cui aveva conquistato uno scranno da senatore, s’è lanciato nell’avventura di Italexit. Paragone vince, finora, perché è immediatamente riconoscibile e, soprattutto, perché ha lasciato perdere la mozione dei sentimenti e si è concentrato sui temi. La nostalgia, infatti, non è roba che funziona granché in politica. Piuttosto che agitare la bandiera della rivoluzione tradita e dell’ortodossia s’è intestata la battaglia dell’uscita dall’euro e dall’Unione Europea. Paragone ragiona con quell’elettorato che nel 2018 ha scelto di punire i suoi riferimenti consolidati sostenendo proprio il M5s. Recupera i delusi della sinistra, ma anche quelli della Lega e di Fratelli d’Italia, come ha sostenuto in un’intervista rilasciata nei giorni scorsi all’Huffington Post, che non si sentono rappresentati dalla svolta atlantista ed europeista della Meloni. Gianluigi Paragone si muove bene in un milieu digitale fatto di blog, associazioni, comitati locali, realtà piccole o microscopiche a cui, però, il web offre impensabili opportunità di visibilità, di contatti, di avvicinamento e di organizzazione. Gli invisibili della rete, i pesci piccoli che fanno sistema: uno dei punti di forza del M5s che adesso rischia di ritorcersi contro. Insomma, nonostante la normalizzazione dei pentastellati, un elettorato no euro, affezionato a quella retorica del primo Grillo politico, c’è ancora. Trasversale, contro il mainstream, sogna un’Italia affrancata dall’Ue e svincolata dall’Occidente. Vale (per ora) il 4,5 per cento dei sondaggi. Giarrusso con il suo nuovo M5s riuscirà a inserirsi nella partita?


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