La medicina italiana è un’eccellenza che si scontra con lo stato e l’organizzazione degli ospedali
Strutture carenti e gestione non altezza della sanità pubblica
La medicina italiana è indubbiamente un’eccellenza, in Europa e nel mondo. Vantiamo professionisti con competenze, curriculum e risultati che possono solamente essere invidiati. Eppure, della nostra sanità pubblica si parla tutt’altro che bene. Le lamentele sono all’ordine del giorno. A partire dalle interminabili liste d’attesa, che sono semplicemente una vergogna, per arrivare alle più svariate difficoltà addirittura per programmare un intervento. O, peggio ancora, per effettuare un intervento già organizzato. Come è possibile che quella che abbiamo definito come un’eccellenza sia solo una delle facce di una medaglia il cui secondo volto è banalmente catastrofico?
La qualità dei dottori italiani
Semplice, alla qualità e alla professionalità dei dottori italiani non corrispondono strutture adeguate e una gestione degli ospedali all’altezza. Non c’è, dunque, molto di che stupirsi se tanti, troppi talenti, soprattutto tra i più giovani, optino per svolgere la propria attività all’estero. Non è solo una questione di stipendi, ma di vivibilità delle strutture nelle quali i medici e, in generale, tutto il personale sanitario, passa gran parte delle proprie giornate. Una realtà che abbiamo toccato con mano scavando nella quotidianità di medici, infermieri, degenti e avventori a vario titolo di due centri che rappresentano un’eccellenza della medicina italiana. Due policlinici universitari capitolini, il Sant’Andrea e l’Umberto I.
La robotica al Sant’Andrea…
Dal punto di vista squisitamente medico, il livello è altissimo in entrambi gli ospedali, anche se, come è ovvio che sia, ciascuno dei due vanta reparti particolarmente prestigiosi. Al Sant’Andrea la chirurgia onco colonrettale è uno dei fiori all’occhiello. Gli specialisti degli interventi con la tecnologia robotica – della quale si servono moltissimo anche in urologia – oramai abbastanza diffusa in Italia, ma non sempre all’altezza, riescono a operare con una precisione praticamente ingegneristica. E non è tutto, perché l’ausilio del robot rende gli interventi chirurgici estremamente meno invasivi. Questo si traduce in tempi di degenza ridotti all’osso. Per l’asportazione di un tumore al colon parliamo di circa cinque giorni di ospedalizzazione o anche meno.
…. E gli ascensori
Ma è proprio a proposito del fattore tempo che il Sant’Andrea registra la sua più grave pecca. Se vuoi servirti dell’ascensore rischi di non uscire più dall’ospedale. Il corpo centrale della struttura, che si compone di ben 13 livelli, compresi i tre interrati, è servito solamente da quattro ascensori aperti al pubblico – dei quali almeno uno, a turno, è puntualmente fuori servizio – e da appena uno riservato alle barelle. I tempi di attesa sono infiniti. Le lancette scorrono, ma l’ascensore non arriva. E quando arriva è stracolmo. Si narra di bambini ricoverati in pediatria, al nono e ultimo piano, che nell’attesa di uscire dall’ospedale sono diventati maggiorenni. Uno specializzando di oncologia, reparto all’ottavo piano, una volta riuscito a tornare a casa ha trovato il cedolino della pensione. I medici ormai utilizzano quasi esclusivamente le scale. Al Sant’Andrea ci tengono a che il personale sia in perfetta forma fisica. Ovviamente questo non vale per i portantini, obbligati per forza di cose a servirsi degli ascensori. Le ‘squadrette’ deputate al trasporto dei pazienti appena operati lavorano sospese nell’attesa, in compagnia di degenti ancora mezzi addormentati trasportati sulle barelle. Dove restano per un tempo indefinito prima di poter riconquistare la propria stanza. L’orario di visita è un optional. Quello stabilito dalla dirigenza sanitaria non conta. Il personale infermieristico è troppo spesso eccessivamente occupato per poter garantire l’acceso ai parenti dei pazienti accalcati fuori le porte dei reparti all’orario stabilito.
L’Umberto I
Al contrario, all’Umberto I la grandissima professionalità degli infermieri corre di pari passo con la preparazione del personale medico. In particolare, quello dei reparti di chirurgia vascolare, cardiochirurgia, anestesia e rianimazione. Il pronto soccorso è ben organizzato, una rarità se paragonato al caos che regna in quelli della maggior parte degli ospedali. Per il resto di organizzato c’è ben poco. Di organizzabile ancora meno, a causa dello stato in cui versa la struttura che necessita chiaramente di una ristrutturazione totale.
Un ospedale fermo al ‘900
Gli edifici che compongono una sorta di cittadella ospedaliera nel cuore di Roma risalgono ai primi anni del 1900. E a quell’epoca sono rimasti. A scaloni austeri e volte affrescate si contrappongono pittura e intonaco che cadono da pareti e soffitti. L’affascinante architettura monumentale si scontra con finestre senza maniglie, pavimenti divelti, passerelle improvvisate per passare da una struttura all’altra. Una vera chicca quando piove. Le sale d’attesa per le visite specialistiche sembrano le stanze di detenzione dei commissariati. I corridoi dei piani interrati, dove ci sono le sale operatorie, ricordano i primi film di Hitchcock.
È questo stato di cose, generalizzato negli ospedali italiani, che fa calare drasticamente il livello della nostra sanità pubblica. Possibile che il potenziale di un’eccellenza italiana in un settore fondamentale come quello della medicina debba essere prima mortificato e poi stroncato da problemi gestionali e infrastrutturali?
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