Lagarde avvisa tutti sugli asset russi: "Il diritto internazionale va rispettato"
Dell’euro digitale, in fondo, a Giorgetti non sembra interessare granché. Non perché, sia chiaro, non abbia in mente le potenzialità di una valuta digitale e la necessità per l’elefantiaca Europa di entrare nel salotto di cristallo delle monete virtuali. Il fatto è che avrebbe preferito, il ministro italiano all’Economia, parlare di qualcos’altro. Un tema che non è manco così alternativo come sembra. Ossia della postura del dollaro. Perché mentre sfuma, lentamente, il dibattito sull’accordo tra Bruxelles e Washington, il titolare del Mef dà una dritta ai colleghi svelando loro ciò che è lampante, più dell’insostenibile leggerezza dell’Ue: “Il dollaro debole è un’altra tariffa”.
Il solito comunicato ampolloso affidato al tignosissimo commissario Valdis Dombrovskis, dà notizia di un “accordo politico sul quadro istituzionale” preso sulla base del solito “ampio consenso” (di cui poi, quando le scadenze incombono si scordano tutti…) su quella che è stata definitiva come una soluzione “equilibrata, nel pieno rispetto del mandato di ogni istituzione coinvolta nell’euro digitale”. Non sia mai che qualcuno prenda una posizione. Lagarde, sbrigativamente, ha definito tutto ciò “un passo importante nella giusta direzione”. Pian pianino, al solito, mentre il mondo corre. Ma questo dell’euro digitale, anche per Lagarde, è il tema minore. La governatrice della Bce è arrivata a un punto in cui non ha più potuto nascondere quello che, in Europa, ormai sapevano tutto. Il (solito) segreto di Pulcinella: gli asset russi congelati all’indomani dell’aggressione all’Ucraina, non si possono prendere e riutilizzare così, sic et simpliciter, per recuperare risorse da girare, sottoforma di prestito come vorrebbe la bellicosa Ursula, a Zelensky: “È una questione per la quale non è stato presentato alcun documento specifico quindi mi asterrei dal fare dichiarazioni decisive al riguardo, ma le nostre preoccupazioni espresse in passato rimangono le stesse. Siamo attenti al rispetto del diritto internazionale e alla nostra preoccupazione per la stabilità finanziaria e la sovranità e la sovranità della nostra moneta”. Christine Lagarde, che ha passato una vita negli uffici degli studi legali più potenti del mondo prima di mettersi in politica e, quindi, di balzare al Fmi prima e alla Bce poi, sa bene che anche solo ipotizzare, come fa Dombrovskis, di utilizzare i non meglio specificati “flussi di cassa” (ossia gli interessi e le cedole maturate) per spedirle a Kiev, rappresenterebbe un vulnus giuridico potenzialmente devastante per gli equilibri, e soprattutto per la credibilità internazionale, dell’Europa. In un momento, peraltro, in cui le crisi e le tensioni internazionali non mancano di certo.
Tornando alla euro giornata di Giorgetti, che ha amabilmente glissato sugli asset russi e, facendolo, ha confermato i dubbi dell’Italia sulla soluzione proposta dalla Commissione (“Conosciamo bene i limiti reputazionali e legali della vicenda”), a Copenhagen il ministro dell’Economia ha ribadito le perplessità sulla tenuta della valuta. Cioè, a dirla meglio, ha scosso gli eurocrati (Lagarde in primis) che sognano una moneta più forte dell’acciaio Krupp per imporla come valuta di riserva internazionale (sogna, ragazza, sogna) richiamandoli alla dura, durissima realtà. Ha detto, trovando conforto e consenso nel collega spagnolo Carlos Cuerpo, che il dollaro debole rappresenta un’altra tassa, anzi un’altra tariffa a carico delle aziende europee. E questo perché l’euro forte, anzi “pesante” come lo chiama proprio Giorgetti, avvera una sorta di paradosso “rispetto al dollaro che si sta svalutando nonostante una crescita economica superiore”. L’appello è dunque a considerare la terra, prima di spararle (grosse) al cielo: “Il valore della moneta non può vivere isolato dal contesto generale”. Cosa, questa, dura da far digerire all’Eurotower che, in nome dell’ideologia del rigore, ha letteralmente mandato gambe all’aria l’economia continentale in nome dell’inflazione al 2% (citofonare Berlino, e tra un po’ anche Parigi).
Sull’euro digitale, il tema (piccolo) del giorno, Giorgetti ha detto che la cosa importante è che “costi meno della carta” e, soprattutto, che “si concretizzi in tempi brevi”. Una sfida, quella di far presto (e magari bene), persino più dura di tutte le altre.