Politica

Giorgia di lotta e di governo

di Adolfo Spezzaferro -


Giorgia Meloni è pronta a fare la premier. Il problema è che forse non è pronta a gestire gli alleati di coalizione, una volta vinte le elezioni, e a formare un governo che trovi la quadra. In effetti, per la leader di FdI, di gran lunga il partito del centrodestra che prenderà più voti, il nodo non è più convincere i partner internazionali, ottenere l’approvazione di Ue, Usa e Nato. La Meloni è tra gli atlantisti più schierati e guida un partito moderato all’Europarlamento. Il fronte più instabile e potenzialmente pericoloso è proprio quello interno. In tal senso, sarà dirimente quanto andranno male la Lega e Forza Italia alle elezioni di domenica.

L’immagine plastica del centrodestra è quella del palco della chiusura della campagna elettorale, ieri a Roma. La folla è tutta per lei, che parla per ultima perché la più attesa. Accoglienza tiepida per il centrista Maurizio Lupi e pure per il leader della Lega Matteo Salvini e per il fondatore e leader di Forza Italia Silvio Berlusconi, “papà” del centrodestra. Se la piazza è l’elettorato italiano, la leader di FdI è la super favorita. Il punto è: sbancherà smuovendo anche astensionisti e indecisi (a maggior ragione se elettrici) o saccheggiando i due alleati? Come è noto i sondaggi sono in silenzio elettorale ma due conti ci dicono che in gran parte i voti della Meloni, soprattutto al nord, arrivano dall’elettorato degli altri due schieramenti della coalizione. In misura maggiore gli elettori della Lega, che dopo averla votata per anni e contribuito agli antichi fasti delle Europee ora voltano le spalle a Salvini e puntano sulla Meloni.
Se la Lega dovesse scendere sotto la soglia psicologica delle due cifre, per la leader di FdI una volta premier non sarà facile tenere a bada Salvini. Il quale di certo non potrà tornare al Viminale ma da qualche parte andrà pur piazzato. E comunque per lui sarebbero tempi duri, con la leadership del Carroccio fortemente in bilico. Discorso a parte Berlusconi, che non ce lo immaginiamo a scalpitare per una poltrona da ministro. Il Cav si muove solo per il Quirinale: magari eletto direttamente dal popolo con la riforma della Carta che la Meloni, numeri in Parlamento permettendo, promette che farà anche da sola. Chi darà filo da torcere alla possibile prima premier donna della storia repubblicana, una volta al governo, sarà Salvini. I prodromi sono chiari, inequivocabili: lei dice di avere già pronta la lista dei ministri e lui ribatte che i ministri si decidono insieme; lei dice se vinco sarò premier e lui replica che spera di vincere lui e di fare lui il presidente del Consiglio. Ma numeri alla mano l’ipotesi di una vittora del leader della Lega è più che remota.

Insomma, il centrodestra dovrebbe vincere le elezioni, anche perché il centrosinistra corre diviso. Certo, si obietterà, è sicuro che se il distacco con gli avversari sarà minimo, il centrosinistra si ricompatterà con Pd, sinistra, M5S e Terzo polo pronti a sfilare il governo alla Meloni. Ma se lo scarto sarà ampio, obtorto collo Mattarella conferirà l’incarico di formare l’esecutivo alla leader di FdI. Se davvero la leader del centrodestra prenderà sopra il 25 per cento e Lega e FI terranno un minimo, la maggioranza in Parlamento dovrebbe essere assicurata, Senato compreso. A meno che il Terzo polo non faccia un exploit allo stato attuale improbabile. A quel punto, con la formazione del governo, cominceranno i (veri) dolori per la Meloni. Poi se troverà la quadra, salvo cataclismi politici o catastrofi socioeconomiche ora non prevedibili, governerà per cinque anni.


Torna alle notizie in home