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Giovani vittime e giovani killer: da Columbine a Uvalde, cosa succede ai teenager americani?

Non serve di certo essere profiler dell’Fbi per notare che il fil rouge che collega alcune delle stragi più sanguinose avvenute nella storia degli Stati Uniti siano i giovani autori: killer adolescenti o poco più che ventenni.

di Ilaria Paoletti -


La sparatoria di martedì in Texas, che è quella con più vittime dai tempi di quella di Sandy Hook nel 2012, è stata compiuta da un diciottenne, Salvador Ramos. Il ragazzo, che veniva (a detta di chi lo conosceva), bullizzato ed emarginato per la sua balbuzie e per la povertà della sua famiglia di origine, ha trascinato nella sua follia omicida 19 bambini innocenti. La dinamica del dramma ricorda pericolosamente da vicino la già citata strage di Sandy Hook, messa a segno dall’allora ventenne Adam Lanza, che ammazzò a colpi di pistola 26 persone nella scuola di Newtown, nel Connecticut. Venti delle vittime erano bambini tra i sei e i sette anni. Prima di compiere la strage finale, Lanza ferì letalmente anche la madre Nancy (proprio come Ramos con sua nonna). Entrambi i ragazzi sono stati a loro volta uccisi dalle forze dell’ordine intervenute sul luogo del delitto. Appena dieci giorni fa, a rendersi protagonista di un massacro è stato un altro diciottenne, Payton Gendron, artefice di una sparatoria di massa in un supermercato della catena Tops a Buffalo, New York. Peyton ha causato dieci vittime, guidato all’apparenza da un movente razzista. Qualche mese prima, il teenager era stato messo sotto controllo da parte delle autorità sanitarie perché sui social aveva dichiarato di voler compiere una strage proprio nella sua scuola. A partire dalla tragedia della Columbine High School del 1999, che causò 13 morti e 24 feriti, sono state infatti tante (troppe) le sparatorie che hanno visto come teatro i licei e le scuole americane. C’è stata quella della Appalachian School nel 2002 (3 morti e 3 feriti), della Red Lake School nel 2005 (9 morti), della Virginia Tech nel 2007 (33 morti e feriti), della Chardon High School nel 2012 (3 morti e 3 feriti). Tutte hanno avuto uno svolgimento simile e soprattutto hanno coinvolto giovani vittime e giovani assassini. Gli autori della strage della Columbine (alla quale Michael Moore dedicò il documentario Bowling a Columbine) furono Eric Harris e Dylan Klebold, entrambi di appena 18 anni. La strage della Red Lake School venne compiuta dal sedicenne Jeff Weise, quella della Virginia Tech dal ventitreenne Seung-Hui Cho, quella della Chardon High School fu perpetrata Thomas Michael “T. J.” Lane III, di 17 anni, che aprì il fuoco all’interno della mensa scolastica. E purtroppo fuori dalle scuole la situazione non migliora: la mente va al massacro di Charleston, che risale al giugno del 2015 e che causò la morte di 9 persone: fu opera di un ragazzo di 21 anni. A El Paso, il 3 agosto 2019, il ventunenne Patrick Crusius uccise 22 persone in un Walmart, mentre altre 24 rimasero ferite. Del massacro di Aurora, commesso in Colorado nel 2012, fu autore James Holmes, ventiquattrenne, che sparò sulla folla durante la proiezione della prima del film Il cavaliere oscuro – Il ritorno in un cinema. Uccise 12 persone e ne ferì 58. Sembra che negli Usa vi sia ormai da venti anni una sorte di epidemia di “angry young men”, lupi solitari e alienati come il De Niro di Taxi driver: giovani ragazzi, per lo più bianchi, isolati (o autoisolatisi) dalla società in cui vivono, forse bullizzati, forse affetti da problemi mentali sottovalutati o mai diagnosticati che per motivi a noi ignoti riescono ad entrare in possesso di armi da fuoco. Non sono terroristi, in rari casi (molto stigmatizzati dai media) hanno moventi politici ben definiti, ma sembrano affetti da una generica rabbia distruttiva sia verso gli altri che verso loro stessi: molte di queste stragi hanno avuto come epilogo il suicidio del killer. Questo non significa che anche tra gli adulti, nella storia degli Usa, non vi siamo mai stati killer di massa, basti pensare all’attentato di Oklahoma City, compiuto dai due veterani della guerra del Golfo Terry Nichols e Tim McVeigh. Ai tempi della strage di Columbine, furono i videogiochi e le canzoni di Marilyn Manson ad essere individuati come influenze malevole sui ragazzi. Sono passati venti anni, i videogiochi entrano nelle vite dei bambini sempre prima e Manson è passato di moda. I social, che dovrebbero farci sentire sempre attorniati da amici, sono diventati i media di queste tragedie: il killer di Buffalo ha mandato il suo eccidio in diretta su Twitch. Tanti di questi teenager hanno annunciato prima sul web i loro intenti omicidi. In breve, cambiano le abitudini e i costumi, ma il filone degli school shootings negli Usa è una brutta serie che ogni giorno si arricchisce di un episodio in più. E il villain è spesso un baby killer.


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