Attualità

Giusto indignarsi per il caso Salis, ma non strumentalizzare

di Giuseppe Ariola -

Ilaria Salis


Il Tribunale di Budapest ha purtroppo negato i domiciliari a Ilaria Salis, oltretutto, portata nuovamente in Aula in catene. Brutta immagine, l’ennesima, che giunge da un paese che nel contesto europeo – e non solo – certamente non brilla per quanto riguarda i diritti. L’indignazione che si leva è dunque assolutamente giustificata. La vicenda di questa ragazza, che vive il dramma del carcere in condizioni particolarmente dure – e anche a tal proposito è giusto sottolineare tutti i limiti dell’Ungheria – merita la massima attenzione, sia mediatica, sia del governo italiano che deve fare di tutto per difenderla e per pretendere il rispetto dei diritti umani, sia delle istituzioni comunitarie. Ma non tutti i pulpiti sono sempre all’altezza delle prediche in cui si prodigano e qualcuno in particolare, prima di urlare scandalizzato, accusando strumentalmente di inettitudine il governo italiano rispetto a quanto accade in un paese pur sempre sovrano, farebbe bene a guardare alla storia e ai valori che hanno segnato il partito a cui appartiene e che, magari, addirittura ha oggi la responsabilità di guidare. Il garantismo e la difesa dei diritti di indagati, imputati e anche dei carcerati, sono principi che non possono essere utilizzati a intermittenza o cavalcati per mero opportunismo politico a ridosso delle elezioni, quelle europee in questo caso. E soprattutto, più in generale, non è maturo difendere fino alle estreme conseguenze la supposta importanza delle misure cautelari personali in Italia, tra cui la detenzione carceraria preventiva, per poi scagliarsi contro le medesime norme se vigenti in un altro paese. E’ una doppia morale che non fa bene nessuno, come non fa bene a Ilaria Salis che qualcuno sfrutti il suo caso per fare opposizione al governo italiano dall’Ungheria.

E a proposito del nesso tra apparati giudiziari e tutela dei diritti e della dignità della persona in generale e dei detenuti in particolare, se Giovanni Donzelli richiama il caso eclatante di Enzo Tortora, portato in catene in un tribunale italiano e non ungherese, e si dice “orgoglioso” dei passi di civiltà fatti dalla giustizia italiana, noi ricordiamo un altro caso eclatante. Nel 1993, durante Tangentopoli, lo storico portavoce di Forlani e capo ufficio stampa della Dc, Enzo Carra, accusato per un reato minore e non per tangenti, fu condotto in tribunale con gli ‘schiavettoni’ ai polsi per essere ben esposto al pubblico ludibrio. Qui sine peccato est vestrum, primus lapidem mittat.


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