Economia

Gli affari in Italia, i balzelli in Eire: la Corte Ue verso l’ok

di Cristiana Flaminio -

INSIEGNA LOGO MARCHIO GOOGLE


Gli Over the Top digitali non ne vogliono sapere di doversi iscrivere ai registri, di pagare contributi e di dover dare informazioni sui loro affari. E l’Europa gli dà pure ragione. L’avvocato generale della Corte di Giustizia Ue, Maciej Szpunar, ha risposto ai giudici italiani che lo avevano investito della questione. Che era stata adita da Google, Airbnb (che, di recente, è stata al centro di un’inchiesta della Gdf che ha scoperto un’evasione fiscale da centinaia di milioni di euro), Amazon e Vacation Rentals. La vicenda è molto meno tecnica di quanto appaia. Già, perché le multinazionali del web rivendicano di doversi uniformare solo, ed esclusivamente, alle normative in vigore nei Paesi Ue in cui stabiliscono la loro sede legale in Europa. In pratica, per i legali di Google, Airbnb, Amazon e Vacation Rentals, l’Italia non può chiedere a queste società, che intanto hanno deciso di stabilirsi in altri Paesi membri dell’Ue, l’applicazione delle sue normative di settore. Per l’avvocato della Corte di Giustizia Ue “gli obblighi di carattere generale e astratto” imposti dalle legge italiane “non sono in linea con le norme Ue” e “contrastano la direttiva sul commercio elettronico”. Ciò accade perché, come rileva il giudice comunitario, le aziende hanno sede in altri Paesi dell’Unione e tra Stati membri non può esserci contrasto per preservare il “il corretto funzionamento del mercato interno, garantendo un contesto equo, prevedibile, sostenibile e sicuro per l’attività economica online nell’ambito del mercato interno”. Ed è qui che casca l’asino. Le società in questione hanno scelto tutte l’Irlanda o il Lussemburgo come loro sede in Europa. Due Paesi che garantiscono trattamenti fiscali di assoluto favore, nonché altre agevolazioni rilevanti. Una di queste è al centro del caso che oppone l’Italia alle major digitali. Al punto da far insorgere, ormai da qualche anno, il dibattito sul cosiddetto dumping fiscale interno alla Ue. In pratica, una concorrenza sleale tra Paesi. Dentro la stessa Unione europea. Al punto che si sono aperti dibattiti persino sulla liceità di considerare Dublino, davvero, una potenza economica in ascesa, una sorte di “tigre celtica” economica. Il Pil schizza verso l’alto, è vero. Ma per effetto della presenza, in Irlanda, di decine di multinazionali digitali o farmaceutiche che fatturano lì tutto ciò che “vendono” in Europa. C’è da dire che il parere dell’avvocato generale non vincola la Corte di Giustizia e che la sentenza sul caso arriverà solo nelle prossime settimane. Ma se i giudici dovessero esprimersi secondo il consiglio di Szupnar potrebbe aprirsi un nuovo fronte di scontro tra Roma (e non solo…) e Bruxelles.  


Torna alle notizie in home