Cultura & Spettacolo

GLI OCCHI DEL BOOMER

di Adolfo Spezzaferro -


Negli anni Ottanta, in piena moda dei cosiddetti paninari – i piumini Moncler, le Timberland con la suola con il carrarmato, i jeans Levi’s 501, i burinissimi cinturoni El Charro – imperversavano i capi contraffatti. I meno abbienti che volevano seguire la tendenza indossavano abiti e accessori taroccati. Il timore era sentirsi tagliati fuori, di non piacere alle ragazze perché vestiti in modo non à la page. Un meccanismo di certo non inedito ma che in quegli anni era preponderante, perché frutto della prima grande ondata di moda giovanile fortemente orientata dal business della pubblicità, delle riviste, della tv, fino ad arrivare al cinema, con dimenticabilissimi film come Sposerò Simon Le Bon (il cantante della band Duran Duran, che al di là della moda inguardabile suonava alla grande). Chi vi scrive negli anni ’80, da bravo boomer, era un adolescente che ovviamente non seguiva la moda (anche se però aveva rivisitato il dress code di sottoculture importate dal Regno Unito con un ritardo di diversi anni), che non andava da Burghy ma si dimenava a suon di punk rock. Oggi siamo alle prese con un qualcosa di altrettanto taroccato – sempre per poter essere di tendenza, alla moda o più banalmente accettati – ma di più costoso e pure più assurdo. I finti follower sui social: gli aspiranti influencer non possono avere pochi “seguaci” e quindi almeno all’inizio se li comprano. E che siano finti lo si capisce benissimo andando a vedere i loro profili dai nomi “esotici”. Ecco, ancora una volta la moda (in questo caso social) non è segno di eleganza. Ma roba da poveracci (dello spirito).


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