Esteri

“Gli Stati Uniti sono divisi: Donald Trump è in campo il dopo Biden ancora no”

di Adolfo Spezzaferro -


“L’America è profondamente spaccata e la contrapposizione tra Democratici e Repubblicani è identitaria più che politica. Pertanto, finché uno dei due schieramenti non prevarrà in modo netto la situazione non cambierà. I Dem sono in crisi e non hanno un candidato per il post Biden, il Gop non può ancora fare a meno di Trump, pronto a ricandidarsi”. È l’analisi del professor Lucio Caracciolo, tra i massimi esperti di geopolitica in Italia e fondatore di Limes, in merito alle elezioni di midterm negli Stati Uniti.

Nelle ultime tornate, le elezioni di midterm hanno punito il presidente in carica e il suo operato. A dar retta ai sondaggi, anche stavolta dovrebbe andare così. Biden perderà?
È una domanda che fatta alla vigilia del voto può essere aperta a varie opinioni, però certamente tutto indica che Biden prenderà una batosta. E questo significherebbe che i suoi due prossimi anni saranno molto, molto difficili.

Quanto e come cambieranno le cose negli Usa dipende molto anche da quanto peso in termini di voti e quindi di seggi avranno i Repubblicani che fanno capo all’ex presidente Trump e alla sua politica dell’America First, soprattutto alla Camera, dove la vittoria del Gop è data per certa?
La cosa forse più interessante di queste elezioni sarà proprio vedere che tipo di Repubblicani andranno in Parlamento. Questo ci potrà dare anche un’idea su quello che potrebbe essere il candidato Trump, che a quanto pare si vuole ripresentare tra un paio d’anni.

In che senso?
Se cioè avrà un appoggio forte oppure se il partito sta cercando – come mi pare – di rientrare nei ranghi. Certo che in ogni caso la capacità di ricatto di Trump sull’establishment repubblicano resta forte. Nel senso che la sua popolarità è ancora piuttosto visibile.

Perché i voti ancora ce li ha lui, nel Gop. E se davvero Biden dovesse perdere, Trump con ogni probabilità ufficializzerà quella candidatura che ormai è nell’aria. Questo nei prossimi due anni potrebbe incidere sulla politica estera dell’amministrazione Usa, a partire dal sostegno economico e militare a Zelensky. Anche perché anche tra i democratici c’è chi è ormai contrario agli aiuti incondizionati all’Ucraina.
Assolutamente sì, questo è il tema. È un umore che sta crescendo adesso in America, già abbastanza visibile, fin dall’inizio, in casa repubblicana e ora sempre più forte anche in casa democratica. Decine di parlamentari hanno espresso questo tipo di opinione. Quindi se, come si dice, le elezioni dovessero andare nel senso di una vittoria repubblicana e di una crisi democratica, le cose andrebbero in questa direzione. Ci stanno già andando, anzi, ma ci potrebbero andare più velocemente.

Si sostiene che ci sia comunque una trattativa in corso tra Usa e Russia per porre fine al conflitto, una vittoria repubblicana accelererebbe anche il percorso verso i negoziati?
La trattativa è già in corso. Si tratta di vedere quali margini ci siano tra russi e americani. E poi tra americani e ucraini, perché c’è anche questo secondo aspetto, evidentemente non secondario…

Quale?
Se i russi e gli americani trovano una qualche quadra tra loro, non è detto che vada bene agli ucraini.

Al di là della politica estera, la vittoria dei Repubblicani inciderebbe profondamente anche su temi fortemente divisivi negli Usa, come per esempio quello sulla sentenza della Corte Suprema. Per non parlare delle posizioni e delle politiche dei vari governatori. Che America ci potrebbe consegnare il risultato di queste elezioni?
Quello che è un fatto, al di là del risultato elettorale, è che l’America è spaccata in due. E che la divisione tra Repubblicani e Democratici è sempre meno politica e più identitaria. Cioè che tipo di America si vuole. E questo tipo di divisione non può essere né colmata né rovesciata da un risultato elettorale. È un dato di fatto, con cui l’America convivrà ancora per un bel pezzo, finché uno dei due prevarrà in maniera netta. Cosa che per il momento mi pare difficile. Di qui anche i rischi di una crisi non solamente di identità ma anche geopolitica, all’interno dell’America, fra gli stati che hanno una visione di tipo trumpiano e quelli che non ce l’hanno.

Biden ha richiamato Obama, dicendo che è in gioco la democrazia. Quanto pesa il fattore Obama sul voto?
Poco, perché comunque è sempre un ex presidente e gli ex presidenti non pesano molto. Il fatto che Biden abbia convocato Obama o Obama si sia autoconvocato è il segno che i Democratici temono veramente una valanga repubblicana. Certamente il problema dei Dem è che non hanno ancora un candidato credibile per il dopo Biden. Ammesso che Biden non si ricandidi lui stesso, ma mi pare un po’ difficile.


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