Ambiente

Green per necessità

di Redazione -


di EDOARDO GREBLO e LUCA TADDIO

La necessità sempre più urgente di affrontare il riscaldamento globale ha reso non più rinviabile l’esigenza di liberarsi dalla dipendenza dai combustibili fossili e di favorire una transizione verso l’uso di energie rinnovabili e a bilancio di carbonio neutro. Le strategie diversive di coloro – si tratti di individui, aziende, nazioni o generazioni – che si oppongono alla definizione di obiettivi di riduzione vincolanti e di tempistiche precise rappresentano una evidente dimostrazione di insensibilità per il salto culturale imposto dalla realtà del cambiamento climatico. A volte si tratta di negazionismo, che liquida ogni evidenza scientifica come espressione di complotto o truffa. A volte di puro e semplice immobilismo, che si ispira a considerazioni di ragionevole prudenza circa i costi della transizione o che riflette l’incertezza riguardo ai suoi risultati ultimi.

Ciò nonostante, sono molte, invece, le forze politiche, civiche e istituzionali che hanno preso atto del salto immaginativo necessario per entrare nella prossima era della storia e che si stanno attivando a favore di una transizione verso un’economia verde a zero emissioni di carbonio. La nascita di una coscienza ambientale globale, impegnata a promuovere una transizione condivisa ed efficace verso nuove forme di crescita economica, che non dipendano da aumenti di emissioni, come accade attualmente e come continuerà ad accadere fino a quando la nostra fonte di energia saranno i combustibili fossili, si sta materializzando in luoghi e istituzioni impegnati a modellare le soluzioni in base alla specificità dei nuovi problemi. Una coscienza ambientalista capace di fare pressione sulle istituzioni che governano l’ordine economico internazionale per indirizzare i maggiori investimenti in sistemi e tecnologie energetiche a zero emissioni di carbonio come l’energia solare o le auto elettriche.

 

Anche per ragioni strettamente economiche. Stando a un documento pubblicato congiuntamente da New Climate Economy, World Resource Institute e International Trade Union Confederation, investire nell’energia solare fotovoltaica crea 1,5 volte più posti di lavoro rispetto all’investimento della stessa quantità in combustibili fossili; migliorare l’efficienza energetica degli edifici crea 2,8 volte più posti di lavoro dei combustibili fossili per dollaro speso; il trasporto di massa crea 1,4 volte più posti di lavoro rispetto alla costruzione e riparazione di strade, e il ripristino dell’ecosistema crea 3,7 volte più posti di lavoro della produzione di petrolio e gas. Si tratta di numeri che confermano le tesi sostenute da Jeremy Rifkin, uno dei più convinti e convincenti sostenitori della transizione verso un’economia decarbonizzata, il quale ha affermato che la transizione verso un’economia svincolata dai combustibili fossili non costituisce un ostacolo al benessere, ma rappresenta un investimento che, a medio termine, è in grado di generare il miglioramento delle condizioni di vita per molti. La formula chiave, usata da Rifkin e altri autori, è Green New Deal, nuovo patto verde, che evidentemente si rifà al New Deal di Roosevelt che negli anni ’30 rilanciò l’economia americana dopo la crisi del 1929. E di Green New Deal ha parlato anche l’attuale Commissione europea presieduta da Ursula von der Leyen, che ha posto questo tema al centro della propria strategia. Il piano prevede una serie di investimenti nelle tecnologie che rispettano l’ambiente allo scopo, tra l’altro, di promuovere l’impiego di energie rinnovabili per decarbonizzare il settore energetico, ripristinare gli ecosistemi degradati e allargare sempre di più le aree terrestri e marine protette, favorire la sostenibilità della produzione alimentare, sostenere l’industria attraverso l’innovazione affinché sia motore di cambiamento e crescita, incentivare una costruzione edilizia con prestazione energetica efficiente, introdurre forme di trasporto pulite ed economiche. Attraverso la definizione di questi obiettivi, l’Ue si candida a diventare il primo continente a impatto climatico zero entro il 2050.

 

C’è tuttavia un aspetto che merita di essere sottolineato. Anche se il cambiamento climatico è un problema globale la cui soluzione non può prescindere dalla cooperazione di tutti i paesi del mondo, quando si tratta di valutare in che modo le energie rinnovabili e la transizione energetica possano andare a beneficio delle persone è necessario ricordare che le politiche di adattamento si realizzano tipicamente a livello locale. Anche per delle banali ragioni materiali: le energie rinnovabili creano occupazione e attività economica in modo territorialmente più disperso rispetto alle industrie energetiche convenzionali. Si pensi soltanto, per fare un esempio, alla differenza tra una singola centrale elettrica e una moltitudine di turbine eoliche. Il cambiamento climatico è un problema mondiale che richiede soluzioni a livello territoriale. Sono i territori e le comunità locali a doversi esporre in prima linea per muoversi alla ricerca di soluzioni alla crisi climatica, attenuare l’impatto del riscaldamento globale e rafforzare la resilienza. Se a livello globale è necessario definire una governance che rappresenti ed equilibri gli interessi spesso contrastanti tra i diversi paesi, è a livello locale che molto può essere fatto, tramite il rafforzamento dei territori, del ruolo degli Stati e dell’Europa in chiave federalista.


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