Hamas accetta la tregua
È arrivata la tanto attesa risposta di Hamas: l’organizzazione islamista ha annunciato di aver accettato “positivamente” il piano di cessate il fuoco proposto dai mediatori internazionali – Stati Uniti, Egitto e Qatar – accendendo una nuova speranza per la fine della guerra a Gaza. L’annuncio ufficiale, pubblicato da Hamas sul social X, conferma che il gruppo “ha completato le consultazioni interne e con le altre fazioni palestinesi” e si dice pronto ad avviare “immediatamente un ciclo di negoziati sul meccanismo di attuazione” del piano, definito “migliorato”. Si tratta della stessa bozza accettata da Israele nei giorni scorsi, secondo quanto dichiarato dal presidente Usa Donald Trump. La risposta di Hamas sulla tregua era attesa con grande tensione in tutto il Medio Oriente, dove cresce la pressione internazionale affinché si ponga fine a un conflitto che ha causato migliaia di morti e lasciato la Striscia in condizioni umanitarie disastrose. Al centro delle preoccupazioni anche il destino dei circa 20 ostaggi israeliani ancora prigionieri a Gaza. Secondo fonti vicine all’organizzazione, Hamas ha chiesto tre modifiche tecniche alla proposta americana: una riorganizzazione del meccanismo per la distribuzione degli aiuti umanitari, il ritiro della compagnia statunitense Gaza Foundation, e un impegno concreto – garantito da Usa, Qatar ed Egitto – a non riprendere i combattimenti al termine dei 60 giorni di tregua iniziale. L’intento, dichiarano fonti interne a Hamas, è quello di estendere i negoziati anche oltre i due mesi previsti, fino al raggiungimento di un’intesa definitiva. In Israele, il governo non ha ancora rilasciato commenti ufficiali, ma una riunione straordinaria è prevista per sabato, nonostante sia Shabbat. L’intenzione, secondo fonti arabe e israeliane, sarebbe quella di annunciare l’accordo lunedì a Washington, durante l’incontro tra il premier Benyamin Netanyahu e il presidente Trump. Sul piano interno israeliano, l’intesa sembra raccogliere un consenso più ampio rispetto al passato. A sostenerla non è solo il governo, ma anche il capo di stato maggiore e lo Shin Bet, i servizi di sicurezza interna. Il rilascio degli ostaggi è ormai considerato l’obiettivo prioritario della guerra. Tuttavia, all’interno dell’esecutivo permangono tensioni. Channel 12 ha riferito di uno scontro acceso tra il premier Netanyahu e i ministri ultranazionalisti Itamar Ben Gvir e Bezalel Smotrich, che accusano l’esercito di non seguire le direttive politiche. Netanyahu, secondo fonti interne, avrebbe chiesto un piano esteso per l’evacuazione della popolazione di Gaza verso sud, ribadendo: “Non sono disposto a lasciare Hamas a Gaza, in alcuna forma”. Il capo dell’Idf Eyal Zamir avrebbe manifestato contrarietà: “Chi gestirà due milioni di persone?”, avrebbe chiesto, temendo uno scenario di amministrazione militare diretta. Per ora, l’esercito israeliano dovrebbe restare nei perimetri della zona cuscinetto lungo il confine, all’interno della Striscia di Gaza, inclusi i 250 metri aggiuntivi previsti. Presidiata anche la fascia del Corridoio Filadelfia, tra Gaza ed Egitto. Intanto, secondo fonti saudite riportate da Asharq, Hamas avrebbe dato segnali di disponibilità a smettere con il contrabbando, la produzione di armi e lo scavo di tunnel, mantenendo l’arsenale nei magazzini. Ma su questo punto, come su tutto il negoziato, il futuro è ancora incerto. I prossimi giorni saranno decisivi.
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