Cultura & Spettacolo

I CONSIGLI DEL LIBRAIO – Dalla tribù allo studio: in città crescere vuol dire allontanarsi

di Redazione -


di GABRIELE GRAZI

In questa recensione voglio partire dal parlarvi non del libro ma dell’editore. L’Italia ha un patrimonio editoriale veramente importante e di qualità. Sapete dove è nata la moderna editoria? Dove è stato inventato il formato sostanzialmente in uso ancora oggi del libro cartaceo? Tutto in Italia all’inizio del 1500 (altro consiglio di lettura: “L’Alba dei libri, quando Venezia ha fatto leggere il mondo” di Alessandro Marzo Magno, edizioni Garzanti). Venezia era la capitale mondiale dell’editoria e ha inventato la gran parte del moderno concetto di libro. E poi nel Novecento questa grande tradizione torna a splendere, con editori la cui storia personale è materia per altrettanti libri: Giangiacomo Feltrinelli, Leo Longanesi, Giulio Einaudi, Roberto Calasso… Ecco perché da lettore e libraio è un grande piacere vedere la fondazione di una nuova casa editrice come Utopia, nata pochi anni fa ma che già si sta facendo valere non solo per la cura editoriale, ma anche per le scelte, in particolare dando attenzione ad autori che portano la voce di minoranze etniche e delle loro storie. Trovo che sia un elemento prezioso perché i libri ci permettono di viaggiare, di vivere emozioni ed esperienze, di conoscere e comprendere.
E’ il caso del libro di oggi, dove l’autrice ci presenta in sostanza la sua storia. Figlia di una famiglia Nenec, popolazione indigena della penisola di Jamal in Siberia (andate a cercarla nella cartina). Siamo a metà del Novecento, lei viene presa da bambina dall’apparato del governo sovietico in un’operazione di alfabetizzazione e istruzione delle popolazioni più ai confini, e portata nelle grandi città per studiare. La vita della comunità Nenec invece va avanti con i suoi rituali ancestrali, in un clima che non può non affascinare, perché pur in mezzo ad arcaismi e difficoltà di ogni sorta, emerge un’umanità solidale, forte, in simbiosi con i luoghi estremi che abitano e con i loro animali, nel bene (renne, cani..) e nel male (il lupo). L’antagonista della storia infatti non è un cattivo. Il lupo che qui prende il nome di “diavolo zoppo” e emarginato dalla sua comunità per aver perso una gamba nelle trappole dell’uomo, e semplicemente condivide la stessa terra e quindi la stessa primigenia volontà: vivere. La comunità umana è ancora un elemento calato in maniera indissolubile nella natura, e condivide una forza primitiva che chiede di essere indomabile. “In quel momento a stupire Aniko non era tanto la somiglianza delle persone ai loro idoli, quanto l’aura di grandezza e dignità che le accumunava a quelle divinità di pietra. Le persone che le sedevano davanti sembravano conoscere aspetti fondamentali, imprescindibili della vita, che lei ignorava”. Tornerà ormai adulta al suo villaggio in un turbinio di emozioni dovute al solco che si è venuto a creare tra lei, istruita e civilizzata, e la sua comunità, di cui stenta a capire perfino il linguaggio.
Un consiglio su come leggerlo: in primo luogo, importantissimo, fatevi un the caldo, anzi bollente perché il freddo che esce da queste pagine e da queste vite è estremo. Poi scegliete un vostro avversario e provate a sfidarlo ma rispettandolo, perché come voi in fondo condivide la canzone del mondo che tutti cantiamo.


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