Economia

I cravattari di Bruxelles

di Giovanni Vasso -


Dura la vita del banchiere centrale. Da un lato l’inflazione che divora risparmi e capitali. Dall’altro i titoli che rendono sempre meno e innescano crisi bancarie fragorose. La pandemia di crac finanziari sta azzannando le banche regionali Usa e, in Europa, il caso Credit Suisse non fa dormire tranquilli. La Fed, negli Stati Uniti, ha scelto salomonicamente: aumento di un quarto di punto, +0,25. Un colpo al cerchio dei tassi, ma non troppo forte per non sfondare la botte della finanza e del settore bancario. Ora tutti gli occhi sono puntati sull’Europa. Christine Lagarde non sa cosa fare. E lo ammette. Per ora la Bce non sa se alzerà ancora i tassi o se desisterà dal ritoccare il costo del denaro. Né, né. Ma da un banchiere centrale è pur lecito aspettarsi qualcosa di più. E infatti, la “civetta” mostra gli artigli e riesce nell’impresa di non dire nulla ma di farlo utilizzando toni agguerritissimi.

A Francoforte, alla conferenza annuale Bce, Lagarde è riuscita in un capolavoro. Faccia da dura, parole di chi non sa che pesci pigliare: “Data l’elevata incertezza, è ancora più importante che la traiettoria dei tassi sia fondata sui dati. Ciò implica che, a priori, non ci impegniamo a innalzare ulteriormente i tassi né che abbiamo finito di aumentarli”. E ancora: “Il nostro traguardo è chiaro: dobbiamo riportare tempestivamente l’inflazione all’obiettivo di medio termine e lo faremo. Abbiamo bisogno però di una strategia solida”. La governatrice tuona: “Seguiremo una strategia solida, che si fonda sui dati e ci vede pronti ad agire, ma senza compromessi: dobbiamo essere sia concentrati sull’obiettivo sia risoluti nella strategia per conseguirlo”. Non si sa cosa accadrà ma, quando lo sapremo, nessuno ci distoglierà dal raggiungere il nostro traguardo. Obbedienza cieca, pronta e assoluta, si sarebbe detto in altri tempi. Ma dietro l’ostentazione di forza c’è una situazione di tale confusione e di scontro economico-politico epocale e una leader che ha spinto troppo sull’acceleratore, ha scelto di legarsi in maniera fin troppo organica a una delle parti in campo e che ora non può fare granché. Chi cavalca il falco non può scendere.

A Lagarde, ieri, era arrivato un messaggio dalla Germania. Il capo della Bundesbank Joachim Nagel, intervistato dal Financial Times, ha detto chiaro e tondo alla Bce che il lavoro deve proseguire. “Se vogliamo domare questa ostinata inflazione, dovremo essere ancora più ostinati”, ha ululato Nagel, “c’è ancora molta strada da fare, ma ci stiamo avvicinando a un territorio restrittivo”. Obbedienza cieca, pronta e assoluta, si sarebbe detto in altri tempi. O tassi alti o morte. L’eurojihad deve continuare a tutti i costi. Nagel non è uno qualunque, anzi. Le parole del governatore della banca centrale tedesca rappresentano, più che un consiglio, una consegna precisa e puntuale. Che sarà seguita alla lettera dalla pattuglia, folta e nutrita, dei falchi che hanno messo alle corde la “civetta” Lagarde trasformandola in una di loro, anzi nella più zelante. Ma questa volta non sarà così facile, perché le colombe potrebbero aver ritrovato la voce. Il governatore di Bankitalia Ignazio Visco ha affermato di ritenere necessario “procedere volta per volta”, basandosi “sui dati disponibili”. Visco, inoltre, ha spiegato che “con l’incertezza così alta, che è raddoppiata, bisogna essere molto prudenti”. In fondo, tra Silicon Valley Bank e Credit Suisse non c’è da fare troppo i pasdaran dell’austerity e del rigore. Anche perché, se si continua di questo passo, si rischia di paralizzare il mercato finanziario. Si rischia il “credit crunch”, cioè il pericolo vero è che la liquidità scomparirà dai mercati, ottenere mutui e prestiti sarà sempre più difficile e accedere ai finanziamenti, per le imprese e le famiglie diventerà impossibile. Con tanti saluti alle speranze di sviluppo e di rilancio dell’economia. “Nell’eurozona il credito effettivamente si è fermato nell’ultimo trimestre: è sostanzialmente fermo, questo è evidente perché da un lato la moneta si riduce e dall’altro salgono i tassi. Il problema è di non farlo diventare un credit crunch, che è quello che abbiamo avuto nel 2011-2012”, ha ammonito Visco. La politica segue, con attenzione, le questioni economiche e finanziarie. E non potrebbe essere altrimenti. Ma le istituzioni, che hanno bisogno di fare i conti con il consenso, badano alla sostanza e alla concretezza di ciò che sta accadendo. La grande paura è quella che nessuno ammette, forse per scaramanzia, forse per non passare da traditore della patria. La grande paura è che, dopo gli States e dopo il caso Credit Suisse, potrebbe cadere qualche banca anche nell’eurozona. La premier Giorgia Meloni, però, facendo pubblico atto di fiducia in Christine Lagarde, sembra “provocare” l’impostazione Bce e la “fissazione” legata al Mes: “Quando è fallita la banca della Silicon Valley, è intervenuta la Federal Reserve, nel caso della Suisse Bank è intervenuta la Banca svizzera. Sono certa che anche quando fallisse una banca europea, la Bce farebbe la sua parte. Il Mes non è una banca ma la sua disponibilità è limitata e si ritroverebbe costretto a chiedere agli Stati europei di rifondare il Mes stesso in caso di intervento. È uno strumento, non deve diventare un totem”. Insomma, Meloni non si fida del Mes. E nemmeno della Bce ma non può dirlo tanto apertamente.


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