Attualità

I “due 007” e l’auto di Andrea Giambruno: una storia che non convince, tutti gli interrogativi

di Angelo Vitale -

La premier Giorgia Meloni e il suo ex compagno Andrea Giambruno


La vicenda dei “due 007” scoperti mentre si apprestavano ad armeggiare vicino all’auto del giornalista Andrea Giambruno, ex compagno della presidente del Consiglio, a distanza di mesi presenterebbe al momento solo un fatto certo: il luogo e il giorno in cui è avvenuta, alle tre della notte tra il 30 novembre e il primo dicembre dell’anno scorso, in zona Torrino a Roma, nei pressi dell’abitazione di residenza della premier.

Tutto il resto, rivelato dal quotidiano Domani così come forse appreso, contiene una numerosa serie di “buchi” cui corrispondono altrettanti interrogativi, concludendosi affrettatamente in una “derubricazione” delle “spie” a “ricettatori” che è talmente inverosimile da sembrare copiata da un pessimo libro giallo o da un film di terza serie. O, peggio, da quelle storie rabberciate alla meglio, zeppe di omissioni, cui le cronache delle indagini di polizia o dei Servizi segreti italiani ci hanno abituato per decenni. E così non dovrebbe essere, se questo governo ha sempre promesso metodi diversi su tutto.

In sintesi: un agente al posto di guida di una volante del Commissariato Eur in servizio di vigilanza davanti alla villetta di Giorgia Meloni si sarebbe accorto di due persone scese da un’autovettura giunta sul posto e che, favoriti dalla luce di una torcia o di un cellulare, “cominciano a trafficare” intorno all’auto di Giambruno. L’agente, sceso dalla sua auto, li avrebbe raggiunti, visti bene in volto e ricevuti da loro l’esibizione di un distintivo e la spiegazione “Siamo colleghi”, prima che si dileguassero dalla zona a bordo della loro vettura. Di seguito, una relazione dell’agente fatta ai suoi capi, arrivata alla Digos e di cui ricevono informazione successivamente il Capo della Polizia Vittorio Pisani, il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, il sottosegretario con delega ai Servizi segreti Alfredo Mantovano, il capo dell’Agenzia informazioni e e sicurezza interna Mario Parente, il suo vice Giuseppe Del Deo, la stessa premier. Mentre il rapporto della Digos finisce in Procura della Repubblica, ove viene aperto un fascicolo dal suo capo, Francesco Lo Voi.

Di seguito ancora, l’Aisi avrebbe accertato, anche sulla scorta di ricerche fotografiche condotte dalla Questura, che i due uomini erano loro agenti, peraltro componenti della scorta della premier e li avrebbe allontanati trasferendoli all’Aise, che ha compiti di intelligence fuori del territorio nazionale.

Ma poi, improvvisamente avrebbe fatto marcia indietro, sostenendo, anche sulla scorta dell’analisi delle celle telefoniche, che i due agenti quella notte fossero fuori servizio e lontanissimi dalla villetta. E che anzi i due uomini, che cominciarono a “trafficare” intorno all’automobile di Giambruno, potebbero essere “ricettatori” interessati a beni di valore interni all’auto.

Una ricostruzione che fa acqua da tutte le parti. Si tende a credere in buona sostanza a questa versione, anche nei commenti istituzionali e negli ambienti politici -, secondo la quale 1) l’abitazione della presidente del Consiglio dei ministri non fosse protetta e vigilata dalla sua scorta h24; 2) l’agente al posto di guida della Volante di servizio fosse solo (non è mai così, per l’equipaggio di una Volante); 3) questo poliziotto non abbia in alcun modo provato a identificare compiutamente i due uomini completando l’accertamento anche per l’autovettura sulla quale arrivarono ed andarono via; 4) un riconoscimento così preciso dei due uomini, arrivato fino all’identificazione di due appartenenti ad un Corpo dello Stato perfino trasferiti dal delicato incarico di tutela della premier, si sia improvvisamente sgonfiato fondando la certezza della loro estraneità sulla loro presenza, fuori servizio, a molta distanza dai fatti e sulla scorta del’analisi delle celle telefoniche, quando anche il più improvvido degli agenti segreti non avrebbe certamente agito, durante questa operazione (“non ufficialmente autorizzata”?), in servizio o portandosi dietro il proprio cellulare; 5) possano comparire all’improvviso due “ricettatori” – le persone indiziate hanno già ammesso il fatto? Sono isritte nel registro degli indagati per qualche reato o si ritiene che non possano essere accusate di nulla? – che arrivano sul posto per fare rischiosamente il mestiere dei “ladri”, quelli che sempre si occupano di compiere il reato dell’asportazione di beni di valore anche procedendo a preliminari ispezioni dei luoghi. Roba da non credere.

E’ auspicabile allora che il procuratore capo di Roma Lo Voi, se non gli attuali vertici del’Aisi, non si adagino su questa inverosimile ricostruzione, per fare completa chiarezza sulla vicenda. Per evitare che anche questo apparente minimo mistero si aggiunga alla lunghissima lista di quelli irrisolti in Italia.


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