Attualità

I Fratelli Musulmani: da 50 anni il piano per islamizzare l’Occidente

di Angelo Vitale -


Un Occidente che trascura il pericolo della radicalizzazione dell’islamismo: un esempio, i Fratelli Musulmani. Un’Italia ove frequenti sono i segnali di un diffuso disinteresse a questo rischio, alimentato dalle incertezze di una sinistra che vive nel ricordo di una questione palestinese da porre a bandiera del proprio impegno. La saggista ed ex parlamentare Souad Sbai un mese fa a L’identità raccontava il pericolo di una radicalizzazione che è l’anticamera del terrorismo, i cui veri segnali sono spesso offuscati dall’esigenza di rispettare quanti arrivano in Italia. Che – lo aveva spiegato sette anni fa in un’altra intervista – hanno talvolta come unico orizzonte di riferimento le moschee “fai da te”, un primo possibile passaggio verso la radicalizzazione estrema.

Sbai, cinque anni fa, aveva dato alle stampe con Curcio editore il libro “I Fratelli Musulmani e la conquista dell’Occidente” aprendo una finestra su un humus che può apparire lontano ma è invece vicinissimo al nostro Paese: noti da tempo i finanziamenti del Qatar a questa organizzazione fondata poco meno di 100 anni fa, da almeno dieci anni rivelato il fiume di danaro che dal Qatar si riversa in Europa e anche in Italia per finanziare centri islamici. E, per la verità, da molti trascurate le solide forniture italiane di navi e aerei da guerra al Qatar che peraltro intrattiene nel nostro Paese robusti investimenti finanziari.

Il libro di Sbai parte dall’attentato terroristico delle Torri Gemelle del 6 novembre 2001. Il giorno dopo nella casa del banchiere svizzero di origine egiziana, Yusuf Nada, venne ritrovato The Project – così fu subito battezzato il testo risalente al 1982 – un documento di quattordici pagine immediatamente attribuito ai Fratelli Musulmani di cui Nada si è sempre sentito orgogliosamente membro, perché da tutti è indicato come uno tra i principali strateghi finanziari di un movimento riconosciuto come terroristico solo da una manciata di Stati. Il finanziere nel 2009 è poi stato ritenuto completamente estraneo all’etichetta “terroristica” che numerose inchieste gli avevano attribuito e ha sempre considerato calunnioso indicare quel documento come un piano per islamizzare l’Occidente.

Sbai – come in precedenza aveva fatto il giornalista Sylvain Besson – lo considera invece importante e fondamentale. Una sorta di manuale, “un insieme di direttive e di passaggi stilati in maniera lineare. Per ambienti e circostanze, situazioni e soggetti: come comportarsi, quali obiettivi perseguire e con quali modalità portare a termine la conquista. Un concentrato di idee, modalità di comportamento, attività e significati”.

Emblematica una frase che vi si ripete: “padroneggiare l’arte del possibile”, da sempre ricondotta a Otto von Bismarck, il Cancelliere di ferro, Primo Ministro della Prussia dal 1862 al 1890 e primo Cancelliere tedesco della storia tedesca. “Un uomo – scrive Sbai- che, sintetizzando in maniera brutale, aveva ben chiaro come raggiungere i propri obiettivi”.

Dodici, le “missioni suggerite” da The Project che Sbai analizza: conoscere il terreno e adottare una metodologia scientifica per la pianificazione e la messa in opera, mostrare serietà nel lavoro e mobilitare il massimo di seguaci e responsabili per raccogliere efficacemente denaro; conciliare l’impegno internazionale e la flessibilità a livello locale (non solo la liberazione della Palestina, ma la creazione dello Stato Islamico, quindi); conciliare l’impegno politico, la necessità di evitare l’isolamento e l’educazione permanente delle nuove generazioni; studiare i centri di potere locali e mondiali e le possibilità di metterli sotto influenza (un proposito che richiama la conversione all’Islam di personaggi pubblici, quasi sempre dai media trascurata con sufficienza, ndr); Coordinare il lavoro di tutti quelli che lavorano per l’Islam, in ogni Paese; accettare il principio di una cooperazione provvisoria tra i movimenti islamici; non abusare dei principi di base, per evitare confronti aspri, come per esempio sul burqa; creare dei ponti tra i movimenti impegnati nel jihad; aiutarsi con mezzi di sorveglianza vari e diversi, in più posti, per raccogliere informazioni e adottare metodi di comunicazione efficaci, anche a beneficio di tutto il movimento islamico mondiale (come ha evidenziato, in tutti questi anni, il sapiente uso delle tecnologie informatiche da parte dei fondamentalisti islamici in tutto il mondo, ndr); adottare la causa palestinese su un piano islamico mondiale (lo sviluppo di Hamas, anche nelle sue relazioni internazionali, ne è per esempio prova evidente, ndr); valutare le pratiche attuali e fare tesoro delle esperienze passate.

Sullo sfondo di tutto questo, centrale, il denaro. Sbai nel libro racconta tutte le inchieste che, negli anni, sono state incentrate sui finanziamenti dall’estero alla Fratellanza Musulmana, sulle banche che se ne sono fatte canali in tutto l’Occidente. Senza dimenticare quello spicciolo e quotidiano del “commercio al dettaglio”, così diffuso negli ultimi anni per iniziativa di operatori islamici anche in Europa e in Italia.


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