Politica

 I tre giorni della manovrina 

di Cristiana Flaminio -

GIORGIA MELONI PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI


Al gran ballo della piccola manovra, ognuno tenta di prendersi le soddisfazioni che può. Il Senato approverà stamattina alle 12, ovviamente a colpi di fiducia, la finanziaria. Allo stato attuale, il rischio che l’Italia finisca in esercizio provvisorio è pressoché nullo. Lo era, del resto, anche l’altro giorno. E perciò le opposizioni, recuperata un’insperata unità, hanno occupato le commissioni per far sì che il presidente del Senato Ignazio La Russa concedesse loro un giorno in più per l’esame formale del documento di bilancio. Ottenendolo, sono riuscite a segnare (almeno) il gol della bandiera, in una partita nella quale, al di là degli alti lamenti levatisi su temi sostanzialmente minori (leggi Pos o, addirittura, sull’argomento cinghiali in città) non hanno toccato palla. Il punto, evidentemente, riguarda quello che avrebbe dovuto essere l’ultimo passaggio dell’iter della manovra ma che, a questo punto, diventa il penultimo. In pratica, i gruppi di minoranza sono riusciti a far sì che alla sua conferenza stampa di fine anno, la premier Giorgia Meloni non arrivasse con il voto già celebrato e la manovra già licenziata dal parlamento. Una ben magra consolazione tutta giocata sul filo dei minuti. La conferenza inizierà alle 11.15, il voto al Senato invece si terrà dalle nove fino alle 12.
La “resa” di La Russa è stata salutata dagli applausi della stessa minoranza. Dalla capogruppo Pd al Senato Simona Malpezzi, che ha parlato di “ritorno del buonsenso” e di restituzione “di dignità” anche “per la maggioranza”, fino alla collega del Terzo Polo, Raffaela Paita, che ha rivendicato di aver “ottenuto il rispetto della democrazia”.
La ritrovata armonia è durata lo spazio di una notte. La giornata di ieri è stata costellata dai twit, lanciati e rilanciati, dentro e fuori dai social. Già in mattinata era ripresa, a tutta forza, la buriana politica attorno alla manovrina. Il centrodestra, da un lato, alla difesa d’ufficio del lavoro fatto e le opposizioni dall’altro a tuonare sulle scelte del governo. Il Pd, con il senatore Carlo Cottarelli, ex mister Spending Review, ha affermato di trovare “la pressione fiscale già abbastanza alta”. E di ravvisare il problema nel fatto che “non è adeguatamente distribuita”. E quindi ha rinverdito il refrain sull’evasione fiscale, “colpa” dei professionisti e delle partite Iva: “Nella legge di bilancio non ho trovato come ridurre l’evasione fiscale ma un grande vantaggio a chi le tasse non le ha pagate. L’evasione non è uguale per tutti, per i lavoratori dipendenti è quasi il 3%, cioè niente; per gli autonomi il 65%: una differenza abissale”. Maria Stella Gelmini, al Tg2, ha spiegato che “la maggioranza ha forzato i tempi in maniera eccessiva, riducendo il parlamento a passacarte”. E dunque è tornata a suonare il disco delle critiche: “In questa manovra non c’è nulla per le imprese, nessuna attenzione per la sanità, nessuna riforma del fisco e del reddito di cittadinanza. Tanti titoli e poca sostanza”. Dal senatore a vita Mario Monti arriva una mezza apertura: “La legge di Bilancio è un atto politico di straordinaria importanza caratterizzato da un chiaro scuro: molto chiaro e nitido il riferimento sorprendente verso la prudenza finanziaria e la conformità con gli orientamenti europei; scuro è un altro aspetto che attiene all’economia e alla fiscalità. Male a mio giudizio è l’appiattimento che si prospetta nel sistema fiscale italiano”. Pertanto si asterrà.
Nel frattempo, il governo ha annunciato ieri pomeriggio che, con la manovra, il Senato avrebbe votato anche la fiducia. Il voto che dovrebbe mettere fine al gran ballo della piccola manovra è previsto per la tarda mattinata di oggi.. Subito dopo la conferenza della premier Meloni.

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