Economia

Il banco vince

di Cristiana Flaminio -


Il banco, anzi la banca, vince sempre, nel grande gioco della finanza. E, allora, forse è arrivato il momento di iniziare a restituire qualcosa. Con la vicenda Superbonus, gli istituti di credito tornano al centro del dibattito. Disincagliare i crediti costerà fatica e buona volontà. Che la politica potrebbe chiedere proprio alle banche. Già, perché da quando la Bce ha avvitato la spirale del costo del denaro, producendo incrementi ai tassi come non se ne vedevano da oltre quindici anni (e, se continua così, come mai se ne sono visti in Ue) gli istituti di crediti hanno visto aumentare – a doppia cifra – i propri ricavi e, di conseguenza, anche gli utili. Chi ha un mutuo sulle spalle sa benissimo com’è andata. Quando da Francoforte s’è deciso di iniziare a seguire, pedissequamente, la strategia Fed sui tassi, quasi sette milioni di famiglie italiane hanno provato, sulla loro pelle, gli effetti di quella scelta. I tassi di interesse dei mutui, infatti, sono passati a oltre il 3,5% a fronte dell’1,6% della primavera scorsa. Gli imprenditori, anche loro, hanno fatto esperienza della nuova situazione. I crediti concessi alle imprese presentano condizioni sicuramente più aspre rispetto a maggio scorso. Se, allora, si pagavano interessi nella misura dell’1,2%, a gennaio il tasso era intorno al 3,7%. Meno soldi in giro, venduti a prezzi più cari. Ma c’è di più.

È chiaro che le banche reperiscano i fondi che prestano dalla raccolta tra i risparmiatori. A cui concedendo sempre meno in termini di interessi. Una delle ultime stime parla di una media pari allo 0,18% per i correntisti. Percentuali ridicole che sono subito erose dalle tasse e, soprattutto, dai costi di gestione. Che aumentano e continueranno a farlo. Persino Bankitalia s’è sentita in dovere di ammonire le banche. E di chiedere ai loro vertici di congelare la scelta di procedere a ulteriori aumenti per i costi dei conti correnti, dovuti – dicono i dirigenti degli istituti di credito – all’inflazione. I consumatori hanno già annunciato battaglia. Adoc, in particolare, ha bollato come “inaccettabili e ingiustificati gli aumenti dei costi dei conti correnti a causa dell’alta inflazione, tenuto conto che, nell’ultimo periodo, le grandi banche italiane hanno aumentato i loro profitti del 5,5%, portandoli a 8,9 miliardi di euro, in seguito ai rialzi dei tassi di interesse praticati dalla Bce”.
Per le banche, la crisi è un affare win-win. Almeno secondo le proiezioni di Standard’s & Poor secondo cui, pur di fronte a “uno scenario economico europee di stagnazione” le banche si dimostreranno “complessivamente forti e resilienti” grazie a “fattori favorevoli derivanti dall’ aumento dei tassi decisi dalle banche centrali”. Di qui la stima di S&P che prevede “un rendimento medio del capitale proprio (Roe) di circa il 7% nel 2023, in aumento rispetto al 6,3% nel 2022”.

Intanto, anche a gennaio, la raccolta diretta è scesa. Secondo i dati Abi, “i depositi sono scesi di 18,7 miliardi di euro rispetto a un anno prima, pari al meno 1%, mentre la raccolta a medio e lungo termine, cioè tramite obbligazioni, è leggermente cresciuta, con un più 0,6%”. Solo a gennaio, la decrescita è pari allo 0,9.
Considerando l’aumento dei costi al correntista, contestuale a una riduzione sempre più marcata dei guadagni concessi, l’erosione del risparmio bancario, in Italia, può arricchirsi di una nuova chiave di lettura. Sì, è vero: la crisi pesa tanto che gli italiani stanno consumando le loro riserve per far fronte alle spese vive. Ma è pur vero che alle famiglie tenere i soldi in banca non conviene più.


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