Il Carnevale e il Calendimaggio fiorentino
di MICHELE ENRICO MONTESANO
Carnevale deriva, secondo le tesi più accreditate, dal latino carne levamen, ossia “togliere la carne”. Spostandoci in Germania, più precisamente nelle regioni della Foresta Nera, della Svevia e del lago di Costanza, per la parola carnevale non si usa il termine Karneval, come nel resto della Germania, bensì fastnacht o fasnet, letteralmente “notte di digiuno”. Anche in Spagna, la parola carnestolendas indica gli ultimi tre giorni di carnevale. Ma perché a carnevale ci si maschera?
Le maschere del carnevale alemanno, dette Lavren, sono grottesche, spaventose e demoniache. Esse hanno il compito di esorcizzare il male. Una consuetudine antichissima, durante queste feste infatti, spesso si infrangevano le rigidi norme sociali che vigevano e si sentiva quindi la necessità di impersonificare il maligno con uno scopo per l’appunto apotropaico. Uscire da sé per giustificare quelle rotture. Quest’usanza raccoglie l’eredità latina e ancor prima greca, e iconograficamente prende spunto dalle figure dei satiri, dei sileni, dei fauni e dei silvani. I primi due son personificazioni mitologiche dell’istinto bestiale insito nell’essere umano e sono connessi con gli dèi Dioniso e Pan. Sileno, filgio di Pan, è spesso raffigurato come un vecchio grasso e ubriaco. Amante del vino, della musica e del canto, di straordinaria saggezza e con il dono della divinazione. Per queste sue doti, Zeus lo scelse come educatore del piccolo Dioniso, il figlio avuto da Semele.
I fauni invece sono di origine romana. Tutte e quattro figure antropomorfe, talvolta equine, talvolta caprine. A metà tra l’uomo e la bestia, proprio come quegli essere umani in festa, dove le passioni prendono il sopravvento sul controllo. Raffigurati con barba, coda e corna, dopo l’avvento del cristianesimo, diventati un chiaro rimando al diavolo e quindi bollati. È a partire da queste radici lontane e secolari che possiamo comprendere la singolare celebrazione del Calendimaggio fiorentino del 1304 grazie al Villani: “aveano per costume quegli di borgo San Friano di fare più nuovi e diversi giuochi, sì mandarono un bando che chiunque volesse sapere novelle dell’altro mondo dovesse essere il dì di calen di maggio in su ’l ponte alla Carraia, e d’intorno a l’Arno; e ordinarono in Arno sopra barche e navicelle palchi, e fecionvi la somiglianza e figura dello ’nferno con fuochi e altre pene e martori, e uomini contrafatti a demonia, orriboli a vedere, e altri i quali aveano figure d’anime ignude, che pareano persone, e mettevangli in quegli diversi tormenti con grandissime grida, e strida, e tempesta, la quale parea idiosa e spaventevole a udire e a vedere; e per lo nuovo giuoco vi trassono a vedere molti cittadini; e ’l ponte alla Carraia, il quale era allora di legname da pila a pila, si caricò sì di gente che rovinò in più parti, e cadde colla gente che v’era suso; onde molte genti vi morirono e annegarono, e molti se ne guastarono le persone, sì che il giuoco da beffe avenne col vero e com’era ito il bando, molti n’andarono per morte a sapere novelle dell’altro mondo”.
Il carnevale e il calendimaggio, feste plebee di cui il volgo si serviva per abbandonare i costumi, mai compresi bensì subiti, della società medievale, divenivano scuse per ritornare animali e godere dei piaceri della vita.
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