IL CARRELLO DELLA SPESA – Ci siamo persi i negozi
I dati choc Unioncamere, il dramma dei centri storici e il guaio delle culle vuote
Ci siamo persi i negozi. I centri storici delle città italiane sono diventati dei deserti o, nel migliore dei casi, dei luna park per turisti. Trovare una piccola attività, entrare in un magazzino di beni di prima necessità senza dover prendere per forza l’auto, per dieci milioni di italiani è diventato impossibile. Ma il guaio, ancora più grande, è nelle aree interne. Dove i negozi spariscono alla velocità della luce, i centri cittadini si trasformano in una sequela interminabile di serrante chiude e cartelli immobiliari. Col risultato che in 206 comuni italiani, nell’anno di grazia 2025, non c’è più nemmeno un negozio aperto.
Il guaio dei negozi persi
I dati li ha snocciolati Unioncamere in audizione alla Camera dei Deputati citando i numeri elaborati dal Centro studi Tagliacarne nell’ambito del progetto Urban Pulse 15, che mira a ridisegnare la pianificazione urbana delle città. Ebbene, i dati sono a dir poco lunari. Già, perché solo il 44,1 per cento degli italiani ha un panificio sotto casa, o comunque raggiungibile impiegando al massimo quindici minuti. Peggio ancora è trovare una pescheria: solo il 35,4% ne ha una a portata di mano. Meglio, invece, i dati per fruttivendoli (59,7%) e supermercati (61,4%). Meglio, già. Ma potrebbero (e dovrebbero) essere migliori. Ma a spulciare tutte le altre cifre rese note da Unioncamere si rivela un altro, l’ennesimo, divario che colpisce i cittadini e le famiglie italiane. E che riguarda le aree interne o, se preferite, tutta quella rete di piccoli borghi e paesi che, ormai da anni, vivono una desertificazione che appare inarrestabile.
Aree interne: un dramma continuo
Nel 2024 il numero di questi piccoli comuni è stato di 5.523 territori in cui vivono non più di 5mila residenti. Costretti, per ogni necessità, a prendere l’auto. È emerso dall’analisi, infatti, che in ben 206 Comuni italiani (205 dei quali con popolazione inferiore ai mille abitanti) non c’è neanche un negozio, un’attività di prossimità confermando quanto il divario sia particolarmente marcato nei settori dell’elettronica, degli articoli culturali e dell’abbigliamento. Non c’è niente. Niente di niente. Uno scenario che è diventato la desolante quotidianità di oltre 51mila cittadini italiani. A complicare le cose è il fatto che la popolazione locale è pressoché agée. L’indice di vecchiaia, per i comuni al di sotto dei 5mila abitanti, parla fin troppo chiaro: ci sono 302,8 over 64 ogni 100 under 15. La situazione, poi, si aggrava ulteriormente in 425 comuni che risultano privi di esercizi alimentari. L’impatto su quasi 170.000 abitanti, caratterizzati da un indice di vecchiaia pari a 276,0, più alto del 32,9% rispetto alla media nazionale, è devastante. In altri 1.124 comuni è presente al massimo un’attività commerciale alimentare, coinvolgendo oltre 630mila residenti.
Perché?
Le cause della desertificazione del commercio al dettaglio sembrano ormai fin troppo note. C’è la forza inarrestabile delle grandi piattaforme dell’e-commerce, per esempio. Ma questa spiegazione sembra non bastare se si vuole analizzare lo strano caso dei negozi di beni di prima necessità, a cominciare dagli alimentari, che non si trovano. E allora c’è chi tira in ballo la concorrenza della grande distribuzione ma il tema, spesso, è legato a dinamiche ben più gravi ancora. A cominciare, per esempio, dall’inverno demografico che attanaglia le aree interne. I giovani, dai paesi, vanno via. Chi gestisce un negozio, a un certo punto, va in pensione. Ricambio non ce n’è. Il risultato è lapalissiano. Ci siamo persi i negozi.
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