Attualità

IL CARRELLO DELLA SPESA – ll cibo costa il 30% in più e torna il caffè di cicoria

Quanto ci costano pandemia e guerre, i numeri dell'Istat, la reazione delle famiglie

di Giovanni Vasso -


La guerra del cibo. Ne usciremo migliori, dicevano e ci dicevamo. Andrà tutto bene, dicevano e ci dicevamo dai balconi, sui social. Invece è andato tutto a catafascio. Dalla pandemia Covid a oggi il costo della sola spesa alimentare degli italiani è salita del 30%. E, a quanto riporta l’Istat, dobbiamo pure accendere un cero a San Bernardino da Siena, protettore degli economi e dei risparmiatori. Già, perché poteva andarci pure peggio: dal 2019 a oggi, in tutta Europa, la spesa alimentare è rincarata del 39% con punte (disastrose), come in Germania, dove i rincari superano abbondantemente il 40%. Certo, non c’entra solo la pandemia. È colpa anche, se non soprattutto, delle guerre che l’hanno seguita. A cominciare dal conflitto in Ucraina. L’energia è schizzata verso l’alto, trascinando con sé il carovita e il costo del cibo chiaramente. E immergendoci nelle fauci di una speculazione, primo effetto economico e unica certezza degli scenari di guerra, che non sembra volere abbandonarci. E che, dal 2019 a oggi, ha fatto registrare degli aumenti disastrosi. Il burro, per esempio, costa il 60% in più. Segue l’olio d’oliva, con il 53,2% di rincari. Il riso e il cacao sono più amari che mai: aumenti del 52% e del 51,4%. Segue il caffè, che costa il 47,6% in più. Al punto che in tanti supermercati e negozi è tornato l’odiatissimo cicorione. Già, il surrogato di cicoria. Sì, proprio quello che si utilizzava quando c’era lui, caro lei, e stavamo sotto le sanzioni della fu Società delle Nazioni. Risulta un po’ più economico del caffè, almeno quello solubile, e che viene proposto ai clienti puntando sulle sue proprietà antiossidanti. Il pudore della povertà, in quest’epoca in cui le sanzioni non si ricevono ma si impongono, s’ammanta di salutismo. La carrellata dei rincari sul cibo non finisce qui. C’è l’olio di semi (+43,6%). Lo zucchero non è così dolce con il 37,5% di sovrapprezzo mentre le patate, una volta popolari e a buon mercato, costano il 40,5% in più. Finita qui? No. La verdura farà bene al corpo ma con aumenti al 36,7% fa malissimo al portafogli. Così come le uova. No, il colesterolo non c’entra. Semmai è un problema di costi: il prezzo è salito di quasi il 35%.

 I consumatori, con in testa il Codacons, chiedono l’intervento di Antitrust e Mister Prezzi. Per fare chiarezza attorno ai rincari, per comprendere la dimensione reale degli aumenti, per sapere da dove sia partita la spirale che sta affamando, letteralmente, le famiglie italiane. Già, perché a fronte dei tremendi aumenti in termini di prezzo, sono scesi i volumi di acquisti alimentari dei cittadini, per quasi il 7 per cento. Si spende molto di più per mangiare tanto di meno. E peggio. L’Osservatorio Immagino, a fine agosto, aveva deplorato il fatto che gli italiani hanno deciso di voltare, sostanzialmente, le spalle alle produzioni nazionali. Una volta bastava schiaffare un tricolore sul packaging, far riferimento a chissà quale lunga e prestigiosa tradizione territoriale per fare il pieno di vendite. Oggi non è più così. Perché, prima di tutto, occorre far quadrare i conti. Il Rapporto Coop 2025 sugli acquisti e le abitudini degli italiani parla apertamente di deconsumismo. In pratica, le famiglie comprano solo ciò che risulta loro utile, abbassando le pretese in termini di gratificazione. Sta crollando, in pratica, uno dei pilastri su cui si regge il mondo occidentale. E, di certo, non succede perché qualcuno sia davvero preoccupato per le “sorti del pianeta” ma, più banalmente, perché il borsellino è esausto.


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