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Il Carso in fiamme. Cent’anni e non sentirli

di Redazione -


“L’insidia delle bombe della Grande Guerra”: ne abbiamo parlato con il colonnello (r) Stefano Venuti già responsabile e coordinatore della bonifica da ordigni esplosivi in Friuli Venezia Giulia e Veneto.

I due conflitti mondiali, durati circa dieci anni, hanno lasciato una pesante eredità agli italiani, un quantitativo impressionante di residuati bellici inesplosi. Friuli Venezia Giulia, Veneto e Trentino Alto Adige, quali regioni di confine, furono teatro di operazioni militari ad alta intensità in entrambi i conflitti. In particolare sul fronte carsico, durante le tristemente note “dodici battaglie dell’Isonzo”, i contrapposti eserciti del Regno d’Italia e dell’Impero Austroungarico si contesero in maniera cruenta ogni singolo metro di terra. Si stima che oltre 1.200.000 di italiani (militari e civili) perirono durante il primo conflitto.

Un ruolo fondamentale in questa ecatombe lo ebbero le artiglierie che sganciarono migliaia di tonnellate di ordigni di ogni tipo e calibro sul territorio. Questa problematica è strettamente connessa agli incendi che stanno infiammando il Carso tra Friuli Venezia Giulia e Slovenia, gli studi statistici riportano come circa il 10% degli ordigni lanciati non detonarono permanendo sul terreno nonostante le attività di bonifica svolte dopo il secondo conflitto mondiale.

Ancora oggi, quotidianamente, le autorità di Pubblica Sicurezza registrano rinvenimenti di ordigni residuati bellici nelle aree urbanizzate dove tuttavia, il problema si sta gradualmente decrementando, ma sul Carso non è così. La folta vegetazione nel tempo ha rapidamente ripreso possesso del territorio rendendolo pressoché impenetrabile impedendone la completa bonifica, inoltre un grande progetto ingegneristico del secolo scorso portò alla piantumazione di 200 milioni di pini neri, un intervento effettuato per ripristinare il rimboschimento del territorio. Oggi questa tipologia di pini sta infestando la landa carsica minacciando la biodiversità ma aspetto ben più pericoloso è la resinosità del loro legno che lo rende molto infiammabile e lo fa bruciare con estrema vivacità.
Ecco quindi gli ingredienti per una combo altamente pericolosa, l’esplosivo e il fuoco. Nell’immaginario popolare si pensa che una bomba vecchia di cent’anni non funzionerà, non è affatto vero, i residuati bellici inesplosi rappresentano una minaccia sempre attuale ed elevata per la pubblica sicurezza. Durante la prima guerra mondiale la concezione costruttiva degli ordigni prevedeva un largo impiego di metalli nobili per i sistemi di innesco (bronzo e rame), leghe durevoli per gli involucri (acciaio e ghisa acciaiosa) e molte delle guarnizioni di tenuta erano in piombo. Tutti materiali pressoché inalterabili nel tempo. Sembra incredibile ma, nonostante il loro destino fosse quello di detonare e provocare morte di lì a poco, gli ordigni erano costruiti come se avessero dovuto durare in eterno. L’esperienza insegna che smontandoli spesso al loro interno la componentistica meccanica permane tuttora integra e lubrificata, con la catena incendiva ancora efficiente. È bene rammentare che all’interno di una granata d’artiglieria vi sono delle componenti esplosive, i detonatori, che sono altamente sensibili anche alla variazione di temperatura determinata da un incendio. Comprendiamo quindi che una sterpaglia che brucia a ridosso di una granata posta sul terreno in superficie può costituire l’adatta causa esterna per fare detonare il manufatto, determinando una violenta proiezione di schegge metalliche con effetti che potrebbero risultare letali per chiunque venisse a trovarsi incidentalmente nella sua sfera d’azione. Non è facile stabilire la distanza di sicurezza da rispettare in un incendio in aree di combattimento, poiché le variabili sono molteplici, dal peso dell’ordigno alla sua collocazione, dalla compartimentazione del terreno alla presenza di possibile materiale di proiezione secondario. Una buona prassi è senz’altro quella di operare ad una distanza non inferiore a cento metri dal fuoco, o da dietro un robusto riparo e con i dispositivi di protezione individuale previsti. Ecco perché gli incendi che stanno imperversando sul Carso, alimentati spesso dalla bora, si stanno rivelando molto difficili da contenere. Anche dopo lo spegnimento dei roghi le aree devono essere ritenute pericolose e gli ordigni residuati bellici eventualmente visibili non devono essere maneggiati per nessun motivo. È bene ricordare che durante la prima guerra mondiale è stato fatto uso anche di ordigni caricati con aggressivi chimici come ad esempio fosgene, iprite, cloroarsina, questi trasudando dagli involucri possono essere molto pericolosi anche al solo contatto con la pelle o con gli occhi. In caso di ritrovamenti bisogna segnalare gli ordigni o presunti tali alla stazione Carabinieri competente per territorio che provvederà, attraverso la Prefettura, ad interessare l’organo militare preposto all’intervento, ad interessare l’organo militare preposto all’intervento che, per buona parte del Triveneto è il 3° Reggimento genio guastatori di Udine.

L’agenzia di stampa slovena (STA) riferisce l’avvenuta detonazione di oltre 500 ordigni durante le ultime operazioni di spegnimento. Dopo una breve tregua la scorsa notte si sono riaccesi vari focolai domati in parte dai Vigili del Fuoco in collaborazione con i Gaslici (VVFF sloveni). Le fiamme purtroppo, alimentate dalla bora, hanno ripreso vigore minacciando nuovamente il Carso triestino lambendo alcune case il località Prebenico e Crociata, una condizione molto pericolosa che ha indotto il sindaco di San Dorligo della Valle ad emettere un’ordinanza di evacuazione preventiva delle due frazioni. Il quadro ad alta criticità mette nuovamente a rischio tutte le persone che con grande coraggio e sacrificio operano giorno e notte sul campo con turni massacranti e allontano le popolazione dalle proprie case per questioni di sicurezza. Non è ancora ben chiaro come mai in così poco tempo sul Carso si siano sviluppati numerosi roghi con tempistiche alquanto inquietanti, certo è che il territorio è in ginocchio e alla favola delle continue autocombustioni credono in pochi.

La triste realtà è che il Carso brucia e gli ordigni esplodono come cent’anni fa riaprendo le ferite narrate dai libri di storia.


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