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Attualità

Il conservatorismo morale dei cattivi maestri

di Vincenzo Viti -


Bologna era (rimane) nell’immaginario la capitale del buonsenso, il volto maturo del Paese, il tempio di un costume che combina una idea progressiva del mondo con un razionale corporeo conservatorismo morale. È stata il cuore pulsante di un comunismo alla fragola capace di buona amministrazione, di militanza e realismo pratico. Città del gusto, di illustri melodie, di dottrina giuridica (la Università) e di cultura politica e istituzionale (Il Mulino). Che dire di più?

Se non che quel che a Bologna sta avvenendo contraddice le sue degnissime tradizioni, contrasta con il suo umanismo accogliente e conviviale. Innanzitutto, per il conferimento alla influencer (più che giurista) Francesca Albanese di un riconoscimento ufficiale e nobiliare che premia (e incentiva) un radicalismo ideologico e sintattico che produce più danni che consapevolezza critica. Ne evochiamo gli effetti nella sguaiata “lezione”, impartita al Sindaco di Reggio Emilia, che la premiava, colpevole di aver definito “ostaggi” gli sventurati cittadini di Israele catturati e trucidati il fatidico 7 ottobre.

Un tentativo di legittimare la aggressione come “resistenza armata”. Esattamente ciò che avremmo appreso poi dalle insegne brandite nelle manifestazioni pro-Pal. Quel che poi è accaduto con le violenze e i disordini di Bologna, che replicavano le tristi imprese milanese e romana, pare il punto più suggestivo di caduta di una predicazione in cerca di nuovi cattivi maestri.

Una ipotesi disperata ma non tanto. Siamo ormai la vetrina di una fisiologia del disincanto, del vuoto siderale nel quale muovono spettri. In attesa che prima o poi (non sappiamo quando) prenda forma quella “buona politica” che rimane una mera aspirazione.


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