Attualità

“Il coraggio di non rinunciare a noi stesse ecco perché non ci hanno visto arrivare”

di Redazione -


di GABRIELE GRAZI
“Per noi donne mi sembra si stia aprendo un orizzonte libero in cui si possa avere il coraggio di essere se stessi senza scotomizzare una parte importante del proprio sé”. Queste le parole di Silvia Romani professoressa di Mitologia, Religioni del mondo classico e Antropologia del mondo classico all’Università Statale di Milano che, in occasione delle celebrazioni della festa della donna, ci racconta la figura femminile tra passato e presente.
C’è una frase che sta diventando celebre: “Ancora una volta non ci hanno visto arrivare”, utilizzata dalla Segretaria Schlein e ripresa dalla Premier Meloni. È una citazione di Lisa Levenstein, “They didn’t see us coming – La storia nascosta del femminismo negli anni 90”. Il nostro giornale oggi intitola questa sezione “l’anno delle donne”, come valuta il momento storico anche in relazione alla situazione italiana?
“Mi sembra un momento di estrema importanza anche sul piano simbolico. Credo che comunque vada letto con cautela. Personalmente sono incline a pensare che non basti il numero delle donne, ma è molto importante capire come si muovono nel mondo: se queste donne hanno inaugurato un pensiero che riguarda la leadership in discontinuità con quello che è il modello convenzionalmente maschile, oppure se nonostante tutto interpretino il modello in maniera tradizionale. Più che farne una questione di quantità ne farei una questione più problematica. Ad esempio la Premier Meloni non credo esplichi lo stesso modello di femminilità nella gestione del potere rispetto a quello che immagino potrà fare la Schlein. Reputo anzi che quest’ultima con difficoltà potrebbe tollerare di essere considerata una paladina del ruolo femminile nella politica; penso che il modo corretto di intendere il ruolo debba prescindere dalle declinazioni di sesso e di genere”.
A livello internazionale ci sono delle figure che incarnano un ruolo positivo come lei lo sta declinando?
“Il dato statistico delle donne che detengono ruoli di leadership in questo momento ci permette di vedere in modo più ottimistico il futuro. Quello che mi ha colpito è che le donne che hanno raggiunto ruoli apicali in molteplici ambiti, come nella Silicon Valley o figure come la Premier Scozzese e quella Neozelandese, sembrano non essere disponibili nel rimanere in tali posizioni se ciò significa andare ad intaccare pesantemente la loro identità intesa anche come identità emotiva. Arrivare a rinunciare al potere per questioni profonde mi rende ancora più ottimista rispetto al futuro. Per noi donne mi sembra si stia aprendo un orizzonte libero in cui si possa avere il coraggio di essere sè stesse senza scotomizzare una parte importante del proprio io”.
Lei è tra le autrici dello spettacolo teatrale “Lucrezia e le altre” sulla violenza di genere. Quali sono i fronti ancora aperti e le sfide da affrontare da subito?
“Io sono un antichista per cui ho sempre pudore nel trattare i temi della contemporaneità con il mio sguardo che parte sempre dall’antichità. A mio avviso le sfide sono meno evidenti, meno plateali rispetto al passato. Qualcosa è stato fatto ma dovremo vedere come noi riusciremo ad interpretare le sfide del contemporaneo in modo non ideologico. Questo credo che sia un punto fondamentale, la rinuncia all’ideologia non può che giovarci in prospettiva. Poi per nostra fortuna abitiamo un contesto in cui i temi sono tutti legittimi ed importanti, ma non devono toglierci la lucidità, non ci devono anestetizzare sul fatto che in buona parte del mondo le donne continuano ad essere trattare come animali, continuano ad essere uccise anche solamente per il desiderio di studiare e di avere un posto nel mondo”.
Il suo ultimo libro “Saffo, la ragazza di Lesbo” (Einaudi) è stato un grande successo editoriale. Come studiosa di antichità classiche ci può far fare una passeggiata nella storia di alcune figure femminili che sono state per lei particolarmente affascinanti?
“Per me Saffo è stata molto importante, così come lo sono le figure della mitologia classica. Io ho scritto molto sui miti femminili non per ragioni antiquarie ma perché trovo che possano riguardarci intimamente. Da queste grandi donne, alcune molto controverse come Medea, altre meno come Arianna o Penelope, imparo degli sguardi sulla femminilità che mi spingono molto a riflettere. Il caso di Saffo è poi particolare perché è una delle pochissime donne intellettuali di cui dall’antichità siano sopravvissute delle parole, e la rendono una figura di grande attualità, come altre tra cui Aspasia. Tornando alla domanda da cui siamo partiti già Saffo era capace di declinare il suo essere donna in modo contemporaneo, in cui il tema del sesso, del genere, sfuma in secondo piano perché quello che conta è l’umanità. La rinuncia alla barriera di sesso e di genere mi sembra una sfida importante”.

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