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Il crimine organizzato delle bande straniere: “Assediano il Nordest”

di Ivano Tolettini -


Dormono in albergo a Mestre, si muovono sui bus e sui treni, si confondono tra i turisti in arrivo a Venezia e colpiscono con la precisione di un meccanismo oliato. Sono bande organizzate, provenienti in gran parte dall’Est Europa, che operano nel Nordest con una metodologia seriale e difficilmente arginabile. L’ultima inchiesta, quella dei carabinieri coordinati dal pubblico ministero Giorgio Gava, ha portato a 35 indagati e 23 richieste di arresto. Ma i numeri dell’indagine sono molto più corposi, basta valutare quello che è successo negli ultimi mesi. Un’operazione che fotografa un sistema ben più vasto del singolo furto: una rete che pianifica gli spostamenti, studia i flussi dei viaggiatori e si divide i compiti come in una catena di montaggio. C’è chi distrae la vittima, chi infila la mano nello zaino, chi si occupa dello scambio della refurtiva e chi infine la cambia in denaro contante, spesso in valute estere. A Venezia, tra il 2023 e il 2024, sono stati ricostruiti centinaia di episodi, con una regolarità che racconta una realtà ormai strutturata. I borseggiatori dormono negli hotel mestrini, si spostano all’alba, prendono i treni per Santa Lucia o i vaporetti per San Marco. Altri restano a Mestre e agiscono nei centri commerciali o sugli autobus. Un gruppo aveva persino scelto di specializzarsi negli ascensori: aspettavano che i turisti salissero, fingevano di urtare e in quell’istante sfilavano portafogli o cellulari. Sono stati scoperti anche nell’outlet di Noventa, dove scambiavano valuta rubata. Il bottino? Migliaia di euro, dollari, franchi svizzeri, sterline. E poi carte di credito, documenti, fotografie di viaggio. Tutto svanito nel giro di pochi secondi.

Le basi logistiche

L’indagine ha rivelato come i gruppi operassero a rotazione, con basi logistiche in appartamenti presi in affitto a Mestre e nei dintorni di Padova. Si spostavano con una disciplina quasi militare, comunicavano attraverso app criptate, cambiavano aspetto e identità ogni pochi mesi. Quando una zona diventava troppo “calda”, passavano a un’altra città del Nordest, da Verona a Trieste. Una mobilità che rende complessa la repressione e disorienta le forze dell’ordine, costrette a inseguire un fenomeno fluido e cangiante. Gli investigatori parlano di un “modello criminale industrializzato”, capace di autorigenerarsi e di sfruttare le maglie larghe del sistema giudiziario.

La “bolla di impunità”

I fermati spesso vengono rilasciati dopo poche ore, perché la legge richiede la querela della vittima, la presenza in udienza e un iter che scoraggia chi si trova in vacanza e riparte il giorno dopo. È la cosiddetta “bolla di impunità”, che alimenta la convinzione che il rischio di essere puniti sia minimo. Ed è in questa percezione che le bande trovano la loro forza. Bisogna adeguare le normative per fronteggiare il fenomeno. A Venezia, i dati parlano da soli: quasi mille portafogli recuperati vuoti a San Marco in pochi mesi. È una città laboratorio, dove si misurano la capacità di adattamento dei gruppi e la fragilità del controllo urbano.

La microcriminalità che dilaga

Ma il fenomeno non riguarda solo la Laguna: si estende lungo tutto l’arco del Nordest, dalle stazioni ferroviarie di Verona e Padova ai mercati di Treviso, fino alle spiagge di Jesolo e Bibione. L’area è ideale per chi vive di microcriminalità: densa di turisti, infrastrutture, passaggi veloci, flussi internazionali. Ed è anche la più difficile da presidiare. Per ogni arresto ci sono decine di episodi minori che non arrivano nemmeno alla denuncia. Il danno economico diretto è enorme, ma quello d’immagine lo è ancora di più. Ogni furto diventa un racconto che viaggia sui social, un post che scoraggia i visitatori, un allarme che mina la reputazione di una delle regioni più attrattive d’Italia.

Le preoccupazioni dei Veneti sono due

Non è un caso che nei sondaggi la sicurezza sia ormai il secondo tema che preoccupa i veneti, subito dopo la sanità. In una terra che per decenni ha vissuto nella convinzione di essere immune ai problemi delle metropoli, la sensazione di vulnerabilità pesa più della statistica. Non si tratta solo dei borseggi, ma di un insieme di episodi che danno l’impressione di un ordine pubblico fragile: furti nei negozi, truffe agli anziani, risse tra giovani. L’insicurezza percepita diventa una misura del benessere collettivo, un termometro politico e sociale. La Regione e i sindaci chiedono più risorse, più uomini sul territorio, più strumenti tecnologici. Le forze dell’ordine fanno quello che possono, ma la mobilità dei gruppi e la burocrazia giudiziaria rendono ogni intervento parziale. La sicurezza è un valore economico, una componente del turismo, un fattore di fiducia per i cittadini e per gli investitori. L’immagine di una Venezia dove i turisti si guardano le spalle è un colpo al cuore per l’intero Nordest, che ha costruito la propria prosperità sul lavoro, sull’ordine e sull’affidabilità. Le bande che borseggiano nelle calli o nelle stazioni minano quella certezza, introducono un dubbio corrosivo: che nemmeno qui, nel cuore produttivo del Paese, l’onestà basti più a garantire la tranquillità. Per questo la sicurezza è diventata una priorità politica e culturale, non solo di polizia. Un tema che interroga magistrati, amministratori e cittadini. Perché dietro ogni portafoglio rubato non c’è solo un danno materiale, ma una crepa nel patto di fiducia che tiene insieme la comunità.


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