Politica

Il dramma del Pd sconfitto due volte va male sia col Terzo polo che con Conte

di Eleonora Ciaffoloni -

PIERFRANCESCO MAJORINO POLITICO ENRICO LETTA POLITICO ©imagoeconomica


Che sia l’effetto politica o l’effetto affluenza il dato è certo: il centrodestra (o meglio, la destra) rosicchia ancora una volta terreno al centrosinistra, anche a livello locale. E per la seconda volta in meno di sei mesi tra i dem e tutta la coalizione di sinistra si fanno i conti e le riflessioni della sconfitta. Ad aggiungersi stavolta, con maggiore sconforto e con risultati ancora più bassi rispetto alle elezioni del 25 settembre, c’è anche il Movimento 5 Stelle, che si ritrova a leccarsi le ferite. Vuoi una candidatura di poco appeal politico insieme a una campagna elettorale debole e di pochissimo effetto, i pentastellati hanno registrato un crollo che li porta sotto a ogni pronostico sia il Lombardia che nel Lazio. E se le congratulazioni ai vincitori arrivano quasi subito, per ricostruire invece – ancora una volta – i partiti sconfitti le riflessioni saranno lunghe, anche in vista, per il Partito Democratico, dell’ultimo voto delle primarie dell’ultima domenica di febbraio.

UN PASSO AVANTI DUE INDIETRO

Inutile per il Pd, ancora una volta, nascondere la sconfitta, anche se rispetto a ciò che i sondaggi mostravano nei giorni precedenti alle elezioni, qualcosa di “buono” è venuto fuori. Sia in Lombardia che nel Lazio le percentuali per i dem si sono mantenute intorno al 20%: un dato che rispetto alle elezioni politiche non è di certo da gettare nel fango. Chiaramente, l’effetto Giorgia Meloni – vedendo anche le alte percentuali di Fratelli d’Italia – ha fatto da traino alla vittoria della coalizione di centrodestra e, probabilmente, ad aiutarla, sono accorsi anche i molti elettori che non sentendosi più rappresentati hanno deciso di non recarsi alle urne. In ogni caso, per il Pd, le riflessioni della sconfitta si biforcano tra le due regioni. Perché da un lato, in Lombardia – una Regione da sempre a trazione destra e Lega – il dato dei dem fa in qualche modo sperare e potrebbe rappresentare da punto di partenza per una possibile risalita, visto che in termini di percentuale si collocano subito dopo il partito della Meloni, con una crescita – seppur di poco – rispetto alle elezioni regionali del 2018, quando la Lega aveva monopolizzato la Regione raccogliendo circa il 30% delle preferenze. Dall’altro lato, nel Lazio, la storia è tutta un’altra: non solo il Pd veniva da anni di governo e da una giunta Zingaretti che aveva raccolto larga parte dei consensi, ma si nota anche una forte perdita di fiducia nei confronti del lavoro del governo uscente. Il dato da evidenziare è proprio questo: nel Lazio ha votato solo il 37,2% degli aventi diritto. Un risultato bassissimo rispetto a quel 66,6% delle amministrative 2018 che videro esultare Nicola Zingaretti. E così gli elettori hanno deciso di cambiare aria e l’egemonia dem nel Lazio ha la sua fine: non solo per la rimonta della destra degli ultimi anni – e mesi – ma anche per una concatenazione di difficoltà che il partito sta affrontando: assenza di una guida, una linea strategica inesistente e un candidato molto probabilmente poco identitario anche ai più affiliati.

 

LA METEORA CINQUESTELLE

 

Un crollo a valanga si era visto già al voto di settembre. Di certo, il 33% che il Movimento 5 Stelle aveva raggiunto alle politiche del 2018 era un risultato irripetibile, ma una discesa così a ruota libera sta facendo correre sempre più in basso il partito di Giuseppe Conte. L’appoggio in Lombardia alla coalizione di sinistra di Majorino ha fallito, proprio come ha fatto la candidata nel Lazio che, seppur con un risultato poco più dignitoso, non può ritenersi soddisfatta. Anche qui, la grande affluenza di quelli che erano i grillini della prima era si è fatta sentire: i fedelissimi del Movimento si sono disaffezionati, forse anche a causa di una campagna elettorale talmente labile che è passata inosservata agli occhi di molti. Giuseppe Conte all’indomani dei risultati può fare solo mea culpa, o meglio, può iniziare a fare la conta dei danni e porsi gli interrogativi sugli errori fatti: non si parla dell’affezione e dei consensi che raccoglie a livello nazionale – che per lui sembra salire sopra i dem – ma per la proposta politica e per i risultati avuti sul campo a livello territoriale. E sia al nord che al sud vediamo un effetto fantasma di scelte sbagliate: con i numeri alla mano, nel Lazio è stato fatto un passo più lungo della gamba con il candidato singolo e in Lombardia l’alleanza con il Pd ha fatto passare i cinquestelle quasi inosservati.

 

MAI STATI UNITI

 

Anche per il Terzo Polo c’è poco da festeggiare. Alla conta dei danni si registra una coalizione di centro mai in partita, ma soprattutto, con un’identità ancora da scoprire. Perché nel Lazio, il candidato di Calenda Alessio D’Amato era di certo a trazione sinistra, mentre in Lombardia la scelta di Azione e Italia Viva era ricaduta su una figura come Letizia Moratti che, nonostante le distanza dalla coalizione di destra, non è riuscita mai ad allontanare la propria figura dal centrodestra che ha sempre rappresentato. Un risultato che rispecchia questa mancanza di identità, ma anche la mancanza di appeal e di maturazione raggiunta dal Terzo Polo: vince ancora la polarizzazione e vincono ancora i partiti più strutturati, mentre perde di nuovo il voto civico. Di certo, c’è ancora da crescere. Perché è sì vero che Azione e Italia Viva spostano all’incirca il 10% dei voti, ma è anche vero che, probabilmente, senza quei voti, il risultato delle elezioni sarebbe stato probabilmente lo stesso. Meglio soli che male accompagnati?


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