Salute

“Il focolaio” di Francesca Nava Alzano, Nembro e la nascita della pandemia

di Redazione -


E’ da poco in libreria “Il focolaio, da Bergamo al contagio nazionale” di Francesca Nava edito da Laterza, pp. 241, euro  15,00. Il libro-inchiesta della Nava, come è stato autorevolmente scritto, è un documentato resoconto della genesi e delle responsabilità della “più grave crisi sanitaria ed economica della storia d’Italia del nostro tempo”. Ricco di riferimenti documentali, alcuni riservati, altri poco citati o per lo più sconosciuti, e di testimonianze sia di operatori sanitari sia di semplici cittadini, protagonisti a vario titolo di questa funesta sciagura pandemica, il libro nella parte iniziale si sofferma sulle modalità e sui motivi della rapida riapertura del Pronto Soccorso infetto di Alzano Lombardo e della mancata istituzione della zona rossa di Alzano e Nembro, nella Bergamasca. Da tali imperdonabili omissioni o errori sono poi rapidamente scaturite le innumerevoli morti che ben ricordiamo. L’Autrice va alla ricerca della verità indagando e vagliando testimonianze, documenti riservati, responsabilità politiche, locali e nazionali, negligenze, superficialità, disservizi sul cui sfondo restano fissi l’impagabile eroismo dei medici e degli infermieri, privi nei giorni iniziali persino di mascherine e di tamponi, e i tanti, troppi morti lombardi, personale sanitario compreso. Migliaia di anziani hanno improvvisamente subìto in completa solitudine la conclusione feroce e “anticipata” della  loro normale esistenza, nell’abbandono più totale, indifesi e indifendibili, frettolosamente rinchiusi, nudi e umiliati, in anonimi sacchi e, così impacchettati per “l’ultimo trasloco”, nel buio fitto della notte, sono stati lugubremente trasportati come infetta immondizia da gelidi camion militari ovunque li si potesse altrettanto frettolosamente incenerire nel più assoluto anonimato negandoli per sempre ad ogni reale riconoscimento e agli affetti dei loro cari.  Francesca Nava è bergamasca ed è giornalista di razza. Ha alle spalle significative esperienze lavorative all’estero. In passato si è occupata di temi di scottante attualità e valenza internazionale. Nel 2014 ha vinto il Premio Ilaria Alpi per l’inchiesta “Occhio al Farmaco” per il programma Piazzapulita. Come inviata ha lavorato per il Tg5, per SkyTg24, per Euronews, per “Matrix” nel periodo di conduzione di Enrico Mentana, e per Exit (La7). Dal 2011 è inviata del programma “Piazzapulita” su La7. E’, tra l’altro, la giornalista del quotidiano on line TPI alla quale lo scorso aprile in conferenza stampa il Presidente del Consiglio, stizzito perché contraddetto, rispose con una notevole caduta di stile: “Se lei un domani avrà la responsabilità di governo, scriverà tutti i decreti ed assumerà tutte quante le decisioni”. La questione del contendere riguardava i comuni di Nembro e Alzano Lombardo che in realtà, come sosteneva la giornalista, dopo giorni e giorni di estenuanti riunioni e conciliaboli, erano stati collocati di fatto in zona arancione, non rossa, non essendo state sottoposte a chiusura le principali attività produttive che si svolgevano nel loro territorio. Quanto l’improvvida gestione del territorio di Nembro e Alzano e della Bergamasca in genere sia stata centrale e determinante per il diffondersi a livello nazionale della pandemia lo testimoniano peraltro vari elementi e non poche circostanze e considerazioni.  Nei giorni critici a cavallo tra febbraio e marzo se ne sono anche occupati i giornalisti Marcus Walker e Mark Maremont della testata statunitense “Wall Street Journal” inviati a Bergamo per raccontare la “Ground Zero dell’epidemia”. Il “Wall Street Journal” del 17 marzo 2020 riporta il contenuto della e-mail inviata il 22 febbraio dal direttore dell’Azienda Regionale Emergenza Urgenza (AREU) di Bergamo, Angelo Giupponi, all’assessorato al Welfare della Regione Lombardia. In essa Giupponi evidenziava “l’urgente necessità di allestire degli ospedali esclusivamente riservati a ricoverati per Covid-19, così da evitare promiscuità con altri pazienti e quindi diffusione del virus nelle strutture ospedaliere”. Dall’assessorato, come riferisce il giornale statunitense, partì la seguente risposta indirizzata a Giupponi: “Non dormiamo da tre giorni, non abbiamo voglia di leggere le tue cazzate”. Di lì a poco il contagio da locale sarebbe diventato nazionale e in breve tempo persino, emblematicamente, intercontinentale come si può desumere dalla vicenda di ordinaria follia, rievocata anch’essa nel libro, di cui sono stati protagonisti Luca e Sara, cittadini lombardi ineluttabilmente diretti a L’Avana, che Dio li perdoni.

Alla ricerca della verità e delle responsabilità, anche penali, che vi furono in quei giorni più o meno compresi tra il 21 febbraio e l’8 marzo, la Nava riporta a galla la concitazione dei protagonisti e dei responsabili del territorio e gli interessi in gioco oscillanti malamente in una dimensione territoriale ad alta concentrazione industriale produttiva nella quale avviene di tutto: non si capisce affatto o non si vuole capire la pericolosità del virus né l’insidia e la pericolosità della asintomaticità; sfugge l’importanza di decidere subito se chiudere tutto invece di oscillare nell’autolesionistico “chiudere tutto, anzi no” senza sapere o poter mediare con autorevolezza con la Confindustria locale che ha ovviamente interessi di parte; non si capisce che bisogna intervenire adeguatamente con urgenza e non si hanno le capacità di collaborare tra uffici e istituzioni, assumendosene la responsabilità, per contenere rapidamente il panico e al contempo il virus. La Nava cita e analizza in proposito “note riservate”, documenti e studi internazionali in merito senza omettere un’essenziale analisi delle imprese e dei fatturati espressi dalla Bergamasca e delle numerose risorse umane coinvolte. In ultimo il libro  focalizza la sua indagine sulle riforme del sistema sanitario lombardo pesantemente trasformato dai “governatori” Formigoni, prima, e successivamente da Maroni. La tanto decantata eccellenza del sistema sanitario lombardo ha di fatto visto privilegiare negli ultimi decenni la sanità privata a discapito di quella territoriale e della prevenzione. E’ chiaro che il privato bada al profitto e che in un’ottica puramente imprenditoriale la prevenzione, se funziona, gli sottrae clienti cioè fatturati o meglio ricavi. Anche questo aspetto organizzativo e filosofico della sanità lombarda, così diverso, c’è da dire, da quello di altre regioni a conduzione  leghista a cominciare dal Veneto, ha determinato la vulnerabilità del modello lombardo ed è stato determinante per l’alto numero di cadaveri che si potevano evitare.  Sullo sfondo di tutta la mole del lavoro che si avverte nel libro scandito da testimonianze, citazioni, documenti, eventi si avvertono come costante presenza le sirene lancinanti delle ambulanze che trasportano moribondi ed infetti, la tristezza degli anziani soli non sufficientemente tutelati e difesi, quindi traditi dall’Istituzione, i lockdown nazionali e le restrizioni continue che ben conosciamo, la rabbia per negligenze ed errori che si sarebbero potuti evitare. “Il focolaio”, come ha opportunamente ribadito l’Autrice, è un libro dovuto, un tributo alla memoria delle tantissime persone che avrebbero potuto essere salvate. 

 In effetti è una torcia che illuminerà a lungo il buio della nostra memoria e l’opacità di tante coscienze. E’ un punto insostituibile di partenza per ulteriori approfondimenti. Per concludere, possiamo senz’altro affermare che se per la Nava scrivere il libro è stato un dovere, per ciascuno di noi è un dovere civile ed etico leggerlo. Nel nostro interesse. Per ricordare, per capire. Per non dimenticare.

Paolo Gatto

 


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