Cronaca

Il giallo dei cacciatori, uno ucciso, l’altro suicida, ma nessun colpevole

di Ivano Tolettini -


Un maledetto rompicapo investigativo, un giallo in piena regola, che da diciotto mesi non dà pace alla Val di Sole, amena realtà montana del Trentino occidentale, perché interrogativi pesanti come macigni inquietano la gente non solo del posto riguardo ai dati oggettivi del dramma che sono incontestabili: un giovane cacciatore (Massimiliano Lucietti, 24enne, di Pejo, ucciso nei boschi della frazione di Celledizzo alle 7.30 del 31 ottobre 2022 con un colpo di fucile calibro 270 alla nuca (sparo doloso o accidentale?) mentre si trovava a pancia in giù come se stesse attendendo una preda e volesse fare fuoco; e l’amico guardacaccia (Maurizio Gionta, 59 anni, del paese) che ha dato l’allarme dopo avere scoperto il cadavere, e che l’indomani, dopo avere trascorso parecchie ore in caserma dei carabinieri come potenziale sospettato ed essere stato un po’ pressato psicologicamente, si è tolto la vita non senza prima lasciare un biglietto nel cruscotto della macchina con scritto sopra: “Non addebitatemi colpe che non ho”. Diciotto mesi dopo la doppia tragedia il pm Davide Ognibene di Trento ha chiesto l’archiviazione senza che, almeno per adesso, si riesca a dare una risposta alle tante domande dei familiari delle due vittime – una diretta del delitto, l’altra indiretta – che non si arrendono. “Non appena ci sarà notificata la richiesta di archiviazione studieremo le carte per valutare con la famiglia l’opposizione”, spiega ai cronisti l’avvocato Giuliano Valer che tutela i Lucietti. I genitori e il fratello di Massimiliano pretendono la verità, sapere chi ha ucciso il congiunto che non aveva mai avuto problemi con nessuno.
Che il caso sia maledettamente complicato lo dimostrano altri due elementi. Il primo che lo “stub”, cioè l’esame per rinvenire tracce di polvere da sparo sulle mani e sui vestiti che indossava Gionta nell’immediatezza della testimonianza che precedette la decisione di farla finita, ha dato esito negativo. Non solo, il secondo elemento insuperabile è che pure il suo fucile Winchester 270 non sarebbe quello che ha sparato (accidentalmente o meno) contro il povero Lucietti, perché l’ogiva recuperata nel cadavere non è pienamente compatibile con la canna dell’arma del guardacaccia. Allora chi ha ucciso il 24enne? E per quale motivo Gionta nonostante non sia stato lui a sparare, come le consulenze tecniche dimostrano, ha deciso di uccidersi? La risposta a questa seconda domanda per Michele, figlio del guardacaccia, non può che essere lampante: “Mio papà dalla caserma tornò a casa distrutto e disperato quella sera, perché pensava che gli investigatori lo credessero responsabile della morte di Max. Raccontò che lui aveva trovato Lucietti già morto e che non sapeva che cosa fosse accaduto”. Le consulenze ordinate dal pm Ognibene, com’è filtrato, confermerebbero le affermazioni di un affranto Gionta, che non si dava ragione di come i carabinieri potessero sospettare di lui. Conosceva benissimo Lucietti, disse di non c’entrare nulla con la sua morte, ma temendo di non essere creduto e di finire sulla graticola giudiziaria optò per la soluzione agghiacciante. Che in realtà avrebbe potuto avvalorare i sospetti degli inquirenti, qualora però lo “stub” non avesse dato esito negativo com’è accaduto. E la consulenza balistica non avesse confermato che non era sicuro che il suo Winchester avesse sparato contro il ragazzo. Dunque, egli non è l’autore di quello che il pm Ognibene ha ipotizzato un possibile omicidio colposo. “Le indagini hanno escluso in modo inequivocabile – riferisce ai giornalisti il legale Andrea de Bertolini, che patrocina la famiglia del guardacaccia – che Gionta abbia sparato e dunque egli è scagionato dai sospetti. La conclusione dell’inchiesta senza un responsabile alimenta inquietudine e lascia amarezza anche nei suoi familiari”. Dunque, che qualcuno in Val di Sole conosca la verità e non parli, evidentemente per tutelarsi, sembra scontato. Risalirvi è complicato, anche perché le consulenze balistiche fatte eseguire dalla Procura su una trentina di Winchester appartenenti a cacciatori del comprensorio non hanno dato risultato positivo. Per la criminologa Roberta Bruzzone “il fatto che nessuno si sia fatto avanti mi porta a considerare plausibile l’ipotesi dell’omicidio volontario. L’opportunità di eliminare un ragazzo per motivazioni che nulla hanno a che fare con la caccia”. Anche per questo l’enigma di Pejo è di difficile soluzione.


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