Esteri

Il giorno dopo l’assalto dei bolsonaristi fra arresti e divieti. E il mondo sta con Lula

di Martina Melli -


 

Da Trump in poi, a più latitudini si è insinuata l’idea che i risultati di un’elezione popolare, se non ci aggradano, possono essere non solo messi in discussione ma anche fortemente contrastati.
Due anni dopo il vergognoso assalto a Capitol Hill, in cui hanno perso la vita ben 5 persone e molte altre sono rimaste ferite, il mondo assiste all’ennesimo violentissimo attacco alla democrazia, questa volta in Sud America.
Domenica scorsa, infatti, migliaia di sostenitori dell’ex presidente brasiliano di estrema destra Jair Bolsonaro – uscito perdente alle elezioni di ottobre – hanno invaso il Congresso, il Palácio do Planalto e la Corte suprema del Paese, lanciando pietre alle finestre degli edifici federali, saccheggiando e appiccando il fuoco all’interno delle sale.
Il bilancio attuale è di 46 feriti, di cui almeno 6 gravi. Otto giornalisti sono stati aggrediti e derubati, in particolare i fotoreporter di giornali brasiliani e di agenzie internazionali.
Tre ore dopo i primi rapporti, verso le 18.30 locali, le forze di sicurezza sono finalmente riuscite a riprendere il controllo dei tre edifici, con decine di rivoltosi portati via in manette. Il Premier Lula, che durante l’invasione si trovava a San Paolo, ha accusato Bolsonaro di aver fomentato per mesi i suoi sostenitori politici. “Questi vandali, che potremmo chiamare fascisti e fanatici, hanno fatto ciò che non è mai stato fatto nella storia di questo Paese. Tutte le persone coinvolte saranno trovate e punite”.
Bolsonaro ha risposto sui social media, distanziandosi dagli avvenimenti perpetrati in suo nome: “Le manifestazioni pacifiche, nel rispetto della legge, fanno parte della democrazia”, ha scritto su Twitter. “Tuttavia, saccheggi e invasioni di edifici pubblici come quelli avvenuti oggi, così come quelli praticati dalla sinistra nel 2013 e nel 2017, sono eccezioni alla regola”.
Nonostante le buone parole, l’ex premier, che si è rifugiato in Florida 48 ore prima della cerimonia d’investitura dell’antagonista, e che deve ancora ammettere la sconfitta, ha sempre sostenuto che il sistema di voto elettronico del Brasile fosse incline alle frodi, generando un violento movimento di negazionisti elettorali.
L’attacco all’esercizio della democrazia in Brasile ha scatenato un terremoto a più livelli: Lula ha subito affondato il colpo, accusando le forze dell’ordine di “incompetenza, malafede e malizia”.
Il giudice della Corte Suprema Alexandre de Moraes, ha rimosso dall’incarico Ibaneis Rocha, il governatore pro-Bolsonaro del distretto federale dove si trova Brasilia, per 90 giorni.
De Moraes ha scritto che gli attacchi “avrebbero potuto avvenire solo con l’acquiescenza, o anche il coinvolgimento diretto, delle autorità di pubblica sicurezza e di intelligence”.
Ibaneis Rocha, a sua volta, ha licenziato il suo alto funzionario della sicurezza, Anderson Torres, in precedenza ministro della giustizia di Bolsonaro.
Una crisi politica e istituzionale che punta a scoperchiare la corruzione, a capire come si è potuti arrivare a tanto e chi, voltandosi dall’altra parte, lo ha permesso, probabilmente in cambio di favori e ingenti somme di denaro. Secondo il Presidente brasiliano l’assalto è stato finanziato da molti, compresi “uomini d’affari all’estero”.
Le indagini e gli arresti non si fermano. Nella giornata di ieri le autorità brasiliane hanno incarcerato almeno 1.200 persone nella capitale e hanno iniziato a smantellare una tendopoli di sostenitori dell’ex presidente che si erano accampati ad ottobre. Le proteste e i disordini, infatti, sono iniziati subito dopo la vittoria dell’ex sindacalista.
Lo scorso 13 dicembre, i radicali hanno cercato di assaltare il quartier generale della polizia federale a Brasilia, incendiando autobus e auto mentre si muovevano attraverso la città. Poco prima di Natale un altro bolsonarista è stato arrestato e ha confessato un complotto per bombardare l’aeroporto di Brasilia nel tentativo di innescare un colpo di stato militare.
Per far luce sull’accaduto, Lula ha annunciato un intervento di sicurezza federale a Brasilia che durerà fino al 31 gennaio.

Contemporaneamente, il giudice della Corte suprema Alexandre de Moraes ha decretato il divieto di manifestazioni fino al 31 gennaio, l’arresto in flagrante degli estremisti accampati davanti alle caserme, e ha convocato sindaci, governatori e generali. Ha inoltre ordinato a Facebook, Twitter e TikTok di bloccare la propaganda golpista in Brasile. Come riporta la Cnn, anche Meta ha promesso di rimuovere i contenuti che “sostengono o elogiano” i manifestanti che hanno preso d’assalto gli edifici governativi.“Prima delle elezioni, abbiamo designato il Brasile come luogo temporaneo ad alto rischio e abbiamo rimosso i contenuti che invitano le persone a prendere le armi o a invadere con la forza il Congresso, il palazzo presidenziale e altri edifici federali”, ha dichiarato il portavoce della società, Andy Stone. “Questo è un evento di violazione, il che significa che monitoreremo attivamente la situazione e rimuoveremo i contenuti che sostengono o elogiano queste azioni”.

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