Il golpe in Niger e quella trattativa con l’Italia che l’Ue vuole bloccare
Niger, Africa occidentale. Un Paese senza sbocco sul mare ma avamposto delle migrazioni verso Algeria e Libia. Un milione e 267mila metri quadri, 22 milioni di abitanti, con il 70% di essi entro la soglia della povertà, la metà senza scolarità, con milioni di bambini sotto i 10 anni impegnati nel lavoro, spesso spalando sabbia o ghiaia. “Un Paese di sabbia, emblematico della politica che prova a governarlo”, dice il missionario Mauro Armanino, che ricorda “cinque colpi di stato” e chissà quanti tentati dal 1960, data dell’indipendenza.
L’ultimo, pochi giorni fa. Con il presidente democraticamente eletto nell’aprile del 2021, Mohamed Bazoum, messo agli arresti domiciliari. E il segretario di Stato americano Antony Blinken costretto a parlargli al telefono per confermargli “il sostegno incrollabile” degli Stati Uniti.
“Ho parlato con lui e ieri con l’ex presidente Issoufou – ha scritto in un tweet Blinken – . Le azioni di pochi uomini minacciano centinaia di milioni di dollari di assistenza Usa a beneficio del popolo del Niger”.
Cooperazione che, inutile nasconderlo, si porta sempre dietro il mondo degli affari. Ora, l’Europa dice stop alla cooperazione con il Niger. Con quel piglio cui ormai ci ha abituato quando vuole dimostrare coerenza, salvo poi dimenticarsene come avvenuto con le sanzioni alla Russia di Putin dopo l’invasione dell’Ucraina, oggi nei fatti disattese da tante imprese, anche italiane, che continuano a fare lì affari.
“L’Unione europea non riconosce e non riconoscerà le autorità emerse dal golpe in Niger”: queste le parole dell’Alto rappresentante per la politica estera europea, Josep Borrell, che ha poi annunciato: “Oltre alla cessazione immediata del sostegno al bilancio, tutte le attività di cooperazione nel campo della sicurezza sono state sospese sine die con effetto immediato”. Poi, in vista della riunione odierna dedicata al Niger della Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale, Borrell ha anticipato che l’Ue “è pronta a sostenere le decisioni dell’Ecowas, compresa l’adozione di sanzioni”. Infine, si è scritto l’agenda delle sue prossime ore: “In questo fine settimana, in coordinamento con il presidente del Consiglio europeo, proseguirò i numerosi contatti già avviati per raggiungere l’immediato ripristino dell’ordine costituzionale, associandomi pienamente alle dichiarazioni dell’Ecowas e dei suoi partner africani e internazionali”.
Parole che frenano di fatto l’azione dell’Italia, ove meno di una settimana fa era arrivato il primo ministro del Niger, Mahamadou Ouhoumoudou. Il presidente di Confindustria Assafrica & Mediterraneo, Massimo Dal Checco, lo aveva ricevuto per un bilaterale (in aggiunta ad uno dedicato all’Uganda, ndr) sottolineando alla numerosa delegazione nigerina “l’importanza del partenariato bilaterale in corso, sempre più strategico in diversi settori quali la sicurezza e la cooperazione allo sviluppo, nonché la necessità di portare anche i rapporti economici e commerciali ad un livello più solido”. Collaborazione comprovata dalla recente apertura dell’ufficio a Niamey dell’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo. Nello scorso mese di febbraio il via agli uffici guidati da Fabio Minniti, con competenze anche su Camerun e Ciad, ora chiusi.
La riunione coordinata da Dal Checco dava continuità alla visita a Roma dello scorso dicembre del presidente del Niger Mohamed Bazoum, che aveva incontrato la premier Giorgia Meloni e poi la comunità degli imprenditori associati a Confindustria Assafrica & Mediterraneo (presenti ai due incontri di pochi giorni fa i rappresentanti del Gruppo Danieli e di Saipem, Telecom Italia Sparkle e Valvitalia).
Nel suo intervento, Ouhoumoudou aveva “sottolineato gli sforzi nel migliorare il clima degli affari per accompagnare le imprese straniere, auspicando una maggiore presenza del settore privato italiano”. Invitando “gli investitori italiani a esplorare le opportunità di business”. Mentre Dal Checco aveva ricordato come “l’interesse strategico dell’Italia verso il Niger e la regione saheliana debba tradursi anche in un rafforzamento della presenza del settore privato, nell’ottica di una collaborazione reciproca che porti benefici alle imprese italiane e per il tessuto economico locale. Le tecnologie e il know-how delle nostre imprese potranno essere messe a servizio dei piani di sviluppo locali, al fine di aumentare il livello di formazione e favorire la creazione di nuovi posti di lavoro nel Paese”.
Poi il golpe e l’irrigidimento dell’Europa. Per il momento, dice Borrell, tutto bloccato. Non se ne fa nulla. Con buona pace di chi da tempo si adopera per procurare occasioni di business per le imprese italiane.
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