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IL GOVERNO VIVE IN UNO STATO D’ASSEDIO

di Redazione -


Il governo Conte-bis ha visto la luce da poco ma, contrariamente ad altri esecutivi, non ha potuto godere della “luna di miele” che solitamente viene concessa dagli italiani nei primi mesi di vita ad una nuova maggioranza politica. Il fatto è che, per ammissione degli stessi partecipanti a questa esperienza – M5S, Pd, LeU ai quali si è aggiunta la neonata formazione di Matteo Renzi, Italia Viva -, questo governo non è nato e non si regge su un “comun sentire”, ma solo per evitare un ricorso anticipato alle urne che avrebbe consegnato una maggioranza, forse schiacciante, al centrodestra rivisitato, ovvero a guida leghista. Quindi, alla base del governo giallo-rosso c’è solo l’intendimento di impedire l’avvento a Palazzo Chigi di Matteo Salvini e di cedergli le chiavi del controllo dell’Italia con la possibilità di eleggere il futuro presidente della Repubblica (l’attuale capo dello Stato, Sergio Mattarella, termina il suo mandato agli inizi del 2023). I contraenti il patto di governo sanno benissimo di essere in minoranza nel Paese e di avere fatto “un accordo di palazzo” (come ha più volte riconosciuto Renzi, che di questa manovra è stato l’artefice perché sia Luigi Di Maio che Nicola Zingaretti non erano molto favorevoli, per usare un eufemismo, a questa formula di esecutivo), ma si trovano costretti a stare insieme perché “simul stabunt, simul cadent”. 

Intanto, però, le regioni italiane chiamate al voto passano dal rosso al verde (buon’ultima l’Umbria) ed i prossimi due appuntamenti (Emilia-Romagna e Calabria andranno alle urne il prossimo 26 gennaio 2020) potrebbero rappresentare il “de profundis” per il governo. Non bastassero i problemi politici, ad aggravare la situazione di Conte e dei suoi sostenitori ci sono anche le emergenze economico-sociali ed ambientali. Sul tappeto – e richiedono una veloce soluzione – ci sono i problemi rappresentati dalla ex Ilva e dall’Alitalia. Due grane non da poco, da far tremare i polsi a chiunque si trovasse a Palazzo Chigi. Lo stabilimento tarantino è a rischio chiusura, con grave danno per l’economia nazionale e locale. Ma anche un  proseguimento della sua attività, senza un serio e rapido piano di risanamento ambientale, costituisce una emergenza sanitaria per i pericoli che corrono gli abitanti del quartiere Tamburi a causa delle esalazioni dagli impianti. La nostra compagnia aerea di bandiera, poi, è diventata in questi anni un pozzo “succhiasoldi” senza riuscire a decollare ed a gestire le sue attività senza il sostegno dello Stato. 

Ogni piano di rilancio è stato bruciato e non si vede all’orizzonte nessun “cavaliere bianco” in grado di  permettere all’Alitalia reggere la concorrenza. Anche l’ultimo, che doveva vedere l’impegno di F.S., Atlantia ed altri, si è arenato per il disimpegno della società dei Benetton, sotto attacco dei cinquestelle che, dopo il crollo del ponte Morandi a Genova, chiedono di revocare loro le concessioni autostradali. Poi ci sono le emergenze ambientali. Il maltempo che ha caratterizzato il mese di novembre ha messo in ginocchio Venezia, ha provocato frane e smottamenti dappertutto, il crollo di un viadotto sull’autostrada Torino-Savona che poteva provocare un’altra strage di automobilisti. Serve quindi un grandioso piano di interventi per mettere in sicurezza tanta parte del nostro territorio. 

Il governo vive quindi in uno stato di assedio, sia sul fronte politico che su quelli economici, sociali ed ambientaii. Servirebbe un “vedere comune” delle cose, ma ogni componente la maggioranza ha una sua visione sul come e quando procedere. Manca una strategia comune per tentare di rompere l’assedio, che si sta facendo sempre più stringente. E non basta l’aiuto dell’Unione Europea che ha chiuso più di un occhio sullo stato dei nostri conti pubblici ed ha permesso, almeno per il momento, di varare una legge di stabilità in deficit per evitare la stangata dell’Iva e di mantenere il reddito di cittadinanza e quota cento. 

Giuseppe Leone


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