Economia

IL GRANDE ERRORE

di Giovanni Vasso -

GIANFRANCO VIESTI ECONOMISTA


La crisi dei Comuni rischia di trascinare a picco il Pnrr. Specialmente al Sud, dove il piano rappresenta un’occasione irripetibile per colmare i divari che separano il Mezzogiorno dal resto del Paese. L’economista Gianfranco Viesti, ha condotto uno studio, insieme a Fondazione Con il Sud, da cui si evince che gli enti locali meridionali sono impreparati, hanno poco personale e non abbastanza formato.

 

Professor Viesti, il Pnrr è davvero l’ultima chiamata per il Sud?
“Eviterei questa retorica. Si tratta di un piano molto importante e perciò è altrettanto importante che venga realizzato in tutti i suoi obiettivi. Anche perché se non si fa il Pnrr a Napoli, il problema non sarà solo dei napoletani ma dell’Italia che mancherebbe il risultato”.

 

Eppure ci sono molti problemi per il Pnrr specialmente nel Mezzogiorno…
“A mio avviso si è fatto un errore strategico straordinario. Si sono chiamate a lavorare, sul Pnrr, amministrazioni comunali che sono state paurosamente indebolite ultimi dieci anni. Questo indebolimento è stato complessivo, ha toccato tutti i comuni italiani. Ma è stato nettamente più pesante nel Mezzogiorno. Oggi siamo in una situazione di incomprensibili e inaccettabili differenze tra enti. Il Comune di Bari, per esempio, rispetto alla sua popolazione ha la metà dei dipendenti di quello di Firenze anche se si tratta di due enti che governano e forniscono servizi chiave, ciascuno, a circa 200mila cittadini. Ma l’uno ha il doppio della capacità dell’altro”.

 

Come si è innescato questo processo di indebolimento degli enti locali?
“Con il combinato disposto tra il blocco delle assunzioni e, soprattutto, coi meccanismi finanziari. In Italia abbiamo una legge, la 42 del 2009, che è abbastanza ragionevole. Ma la si è applicata ai Comuni in maniera totalmente distorta. Sono stati cancellati i trasferimenti statali agli enti e la perequazione fra i Comuni, che non è una forma di carità ma un connotato costituzionale fondamentale, non ha mai funzionato”.

 

Cos’è la perequazione?
“Dato che siamo tutti italiani, la capacità di fornire servizi ai cittadini deve essere indipendente da quanto è ricco il mio Comune. Sennò facciamo un Paese incostituzionale, nel quale chi vive nei territori più ricchi ha più servizi, più scuola rispetto a chi vive in un altro territorio”.

 

Sembra quasi una critica velata all’autonomia differenziata…
“No, la mia critica al progetto di autonomia differenziata è radicale. È un disegno sbagliatissimo, da contrastare in tutti i modi, perché trasformerebbe l’Italia in un Paese debolissimo, completamente diverso da tutti gli altri Paesi europei. Avrebbe un centro gracilissimo e delle Regioni Stato potentissime, ognuna delle quali andrebbe per conto proprio e ciò comporterebbe, con ogni probabilità, disparità territoriali ancora più accentuate. La direzione verso cui bisogna andare è quella di fare un Paese in cui le condizioni dei cittadini siano più uguali, più eque perché funzioni meglio. In fondo, questa cosa del “più diamo alle Regioni meglio funziona il Paese” è una favola totalmente priva di riscontri”.

 

Tornando al PNRR. Quali sono le grandi criticità al Sud?
“Il piano rappresenta una grande operazione, con molti punti positivi e alcune importanti criticità. La prima, già detta, è stata quell’illusione secondo cui basta digitalizzare e semplificare le procedure perché i Comuni possano funzionare bene, anche con la metà del personale. Non è così, gli enti hanno bisogno di competenze umane. La seconda si lega al fatto che il Pnnr ha allocato molte delle sue risorse attraverso bandi competitivi tra amministrazioni. Questo nell’attuale situazione italiana non è esattamente la scelta ottimale perché c’è il rischio, che poi è esattamente quello che è successo, di finanziare nuovi asili nido nei Comuni che già ne avevano tanti, rispetto a quelli che abbiamo finanziato nei comuni dove non ce n’erano”.

 

Siamo ancora in tempo per rimediare?
“Naturalmente. Spero che il governo Meloni abbia un passo diverso rispetto al governo Draghi che, forse per sua forma culturale, non vedeva il potenziamento delle amministrazioni territoriali come un’assoluta necessità. I fatti ci stanno mostrando i pericoli che stiamo correndo. Mi auguro che si proceda a dare respiro, con assunzioni a tempo indeterminato, agli enti ma soprattutto che, magari anche sfruttando questo lavoro che abbiamo fatto noi, si individuino con precisione quelle amministrazioni come Catania, Napoli, Messina che oggettivamente possono avere maggiori problemi nell’attuazione degli investimenti. E che si faccia un intervento mirato di sostegno. A Modena, dove il Comune è già sufficientemente capace in termini di personale e le risorse del Pnrr sono quelle, non c’è bisogno. Ma a Messina, dove arriveranno un sacco di soldi e dove il Comune è estremamente indebolito, diventa una questione di vita o di morte riuscire a far sì che quei fondi siano spesi nella maniera migliore possibile. Anche perché, se non li spendiamo, non raggiungiamo gli obiettivi del piano. E non sarebbe un problema solo dei messinesi, ma di quello che poi, come Italia, dovremo rendicontare alla Commissione europea”.


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