Il nesso tra condizioni sociali e delinquenza. Intervista a Francesco Petricone
La maggior parte dei reati sono legati condizioni sociali ed economiche disagiate
“Una delle cose più belle che io abbia fatto nella mia vita è stato occuparmi dei problemi carcerari quando scrivevo per il Giornale di Montanelli. Sono entrato la prima volta in carcere a San Vittore a 25 anni. Ricordo ancora il rumore dei chiavistelli che si chiudevano dietro di me, una cosa che fa riflettere. Noi viviamo sempre il carcere come una barriera mentale, non immaginiamo che è fatto di persone che hanno delle ritualità, che hanno un’umanità, che hanno delle storie che vengono condivise anche con persone estranee”. Ce lo dice Francesco Petricone, docente di Sociologia alla Lumsa, giornalista, Consigliere parlamentare con una lunga carriera nelle istituzioni, come magistrato prima e avvocato dopo.
Ha avuto modo di visitare anche penitenziari all’estero?
“Nel 2005 sono stato selezionato dal Dipartimento di Stato americano nell’ambito dell’International Leadership Visitor Program. Chiesi proprio di andare a visitare delle carceri americane e andai in un penitenziario a Rapid City in South Dakota che era un carcere completamente diverso dal nostro. Intanto perché tutti i reclusi avevano la divisa arancione, secondo perché dovevano sostenere un pagamento per mantenersi e terzo perché trovavi anche persone che noi definiremmo incensurate, che andavano in carcere per ubriachezza, anche giovani di 16 anni”.
Che tipo di attività ha svolto invece nelle carceri italiane?
“Ho seguito un percorso conoscitivo, di approfondimento delle condizioni del carcere, di problematiche legate al carcere. Ho sempre concepito il carcere come un percorso di formazione e di rieducazione, analizzando perché si finisce in carcere. Per la maggior parte dei casi per ragioni economiche, è l’ambito in cui ci si trova a vivere che porta a delinquere, piuttosto che a preferire percorsi di formazione, di educazione. Analizzando la popolazione carceraria, emerge che nella maggior parte dei casi i reati commessi sono legati a situazioni sociali ed economiche disagiate. A fronte del modello sociale della ricchezza, quindi del benessere, dell’essere il più possibile agiato, c’è chi cerca di trovare una scorciatoia per guadagnare il più possibile in maniera facile. Ecco perché credo che le condizioni migliori per evitare il carcere siano quelle di creare condizioni sociali ed economiche che in qualche modo favoriscano dei percorsi formativi ordinari, completi, efficaci. Molti detenuti, se avessero potuto studiare, prendere un diploma, una laurea, sicuramente non si sarebbero messi nelle condizioni di delinquere. La delinquenza abituale, per tendenza, è anche una connotazione sociologica, legata all’ambiente che si frequenta. Laddove ci sono le condizioni nella società perché questo non accada, obiettivamente si riduce la delinquenza che, ovviamente, non è mai eliminabile al 100%”.
Oltre all’aspetto formativo, cosa può disincentivare la delinquenza?
“La certezza della pena. Quello che induce a rubare un bicchiere o un cellulare non è che la pena venga aumentata o diminuita, è che la pena sia certa. Se io so che nel momento in cui allungo una mano in un supermercato e rubo subito dopo vengo punito, questo è un deterrente affinché io possa delinquere ancora. Quindi, ciò che è importante per ridurre la delinquenza sono la certezza della pena e, soprattutto, la creazione di condizioni sociali ed economiche favorevoli soprattutto per i giovani, perché la delinquenza si impara da giovani”.
A proposito di condizioni sociali difficili, lei è candidato al Consiglio Comunale di Giugliano, una realtà molto complicata in un contesto a tratti duro. Come mai questa scelta?
“Io ho avuto la fortuna e il merito di riuscire a fare tutto ciò in cui mi sono cimentato: il consigliere parlamentare, l’avvocato, il professor ordinario, fino a pochi mesi fa ero il consigliere per le politiche sociali del Presidente del Consiglio dei ministri, quindi, ho messo tutta la mia attività al servizio delle istituzioni. Ora credo che sia arrivato il momento di confrontarsi con un’attività politica nel vero senso della parola, nel senso aristotelico, quello più nobile del termine. Voglio mettere la mia esperienza al servizio dei cittadini, soprattutto per ridare a questa realtà il senso di una dignità, per riuscire a trasformarla in una grande città. A Giugliano non c’è un sistema di trasporti efficiente, non c’è un teatro, non c’è mai stato un cinema, mancano attività produttive e strutturate. C’è una popolazione che è legata familiarmente anche ad attività delinquenziali. Mi sono sentito di impegnare in prima persona per dare a questa città un contributo partendo dal basso, non volendo essere calato dall’alto, ma mettendoci la faccia e chiedendo le preferenze. Addirittura, attaccando i manifesti con la colla come si faceva una volta”.
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