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Il nuovo show di Gervais fa infuriare gli attivisti trans: ma è la satira, baby

Il comico britannico Ricky Gervais è nell’occhio del ciclone politicamente corretto. Tutta colpa del suo show Super Nature, da poco disponibile su Netflix.

di Ilaria Paoletti -


Non ha fatto neanche in tempo ad andare online che il suo fulminante pezzo di stand up comedy ha scatenato il finimondo. Manco a dirlo, a far discutere sono le sue battute irriverenti sui transessuali. Una massa di utenti furiosi sui social ha chiesto la rimozione del prodotto dalla piattaforma, minacciando di cancellare gli abbonamenti. “Ah, le donne. Non tutte le donne, intendo quelle vecchio stile. Quelle con l’utero. Quei fottuti dinosauri – dice Gervais in Super Nature, – Adoro le nuove donne. Sono fantastiche, vero? E che dire delle nuove che abbiamo visto ultimamente? Quelle con la barba e il cazzo”. La protesta dei fan probabilmente non sortirà effetti: ce lo dice il precedente creato da Netflix con lo show The Closer del comico Dave Chappelle. Per lui, addirittura, i dipendenti della società minacciarono lo sciopero. Ad infuocare gli animi sempre alcune battute “intolleranti” nei confronti dei trans. Risposta della società? “Se non vi sta bene, licenziatevi”. Qualcuno da quelle parti deve aver capito che la cancel culture non paga, soprattutto dopo il crollo degli abbonamenti. E non a caso, dopo il successo dello spettacolo Humanity e della serie AfterLife, sulla piattaforma è tornato Gervais. Il quale ha capito bene che se c’è qualcuno si può permettere di invertire questa deriva politicamente corretta è lui: milionario, conosciuto in tutto il mondo, star di Hollywood. Non ha niente da perdere, e lo dice più volte nello show. L’attore ha anche replicato alle ultime polemiche in un’intervista con The Spectator: “Il mio obiettivo non era il popolo trans, ma l’ideologia dell’attivista trans. Mi sono sempre confrontato con il dogma che opprime le persone e limita la libertà di espressione. Probabilmente è stato l’argomento tabù più attuale e di cui si è parlato di più negli ultimi due anni. Mi occupo di argomenti tabù e devo confrontarmi con l’elefante nella stanza”. D’altronde, il fatto che la cultura woke sia solo censura sotto mentite spoglie è uno dei temi centrali dello show. Tema ripreso dallo showman anche durante la sua ospitata al talk show di Stephen Colbert: “Penso che le persone si offendano quando scambiano l’argomento di una battuta con l’obiettivo reale. Le persone intelligenti sanno che puoi affrontare qualsiasi argomento, soprattutto quando hai a che fare con qualcosa come l’ironia”. Una tesi troppo indipendente, che proprio non piace a certa stampa, anche qui da noi: non a caso Repubblica ha dedicato a Gervais un articolo (Ricky Gervais, la satira non è sempre perfetta) in cui accusa l’attore di aver messo su uno show di gag fiacche e di aver voluto, in breve, solo creare caos: “In un monologo, oggi, se non fai esplodere i social o ti trascini una polemica (…) non vai da nessuna parte”, si legge nel pezzo. Non è ironico come proprio da sinistra (ove un tempo si pontificava su quanto la satira fosse sacra) arrivino queste critiche? Vien da chiedersi addirittura se certi giornalisti abbiano visto lo stesso spettacolo che hanno visto milioni di persone: perché è lo stesso comico, nei primi minuti dello show, a dichiarare di voler ingaggiare una sana polemica: “Non è satira solo quando si attaccano i potenti”, dice. Nel suo mondo non ci sono categorie “protette” che possano salvarsi dalla derisione. E puntualizza come nessuno si risenta quando scherza sulla pedofilia, sulla religione o sulle minoranze etniche: la polemica arriva, invariabilmente, quando spunta la battuta sui trans. Da lì la decisione di aprire lo show proprio con una presa in giro agli “uomini con la barba”: perché la satira non sarà “sempre perfetta”, ma è sempre necessaria. Soprattutto quella di Gervais.


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