Editoriale

IL PARTITO IN AFFITTO

di Tommaso Cerno -

Tommaso Cerno


L’anima di una forza politica si spacca in mille rivoli. La gestazione per altri è solo l’ultimo dei tanti segnali di disfacimento. Dentro il Pd non c’è mai stata una posizione unitaria su questo delicato tema. Ma la scelta degli ultimi anni, quelli in cui la sinistra era al governo pur senza aver vinto le elezioni, forte di coalizioni allargate, è stata quella di non parlare di nulla. La scusa era quella che comunque andassero le cose gli alleati di destra come la Lega, o Forza Italia, così come la natura tecnica o emergenziale del governo di turno rendevano inutili dibattiti ideologici, che sarebbero stati rimandati al grande giorno della vittoria elettorale. Quando invece i temi venivano branditi, come nel caso del ddl Zan, la ragione non era quella di farli approvare, ma di trasformarli in bandiere culturali da mostrare all’esterno come carta di identità di una sinistra avanzata. Dando la colpa agli avversari di tutte le eventuali debacle parlamentari. Peccato che il giorno del governo non è arrivato perché le elezioni le ha vinte la destra, la quale invece sui temi dirimenti spinge sull’acceleratore, ovviamente marciando in direzione opposta a quella degli avanguardisti democratici, ma costringendo così la sinistra ad aprire al proprio interno i dibattiti che sono stati rinviati in questi anni. Sorpresa, non esiste un’unità culturale nemmeno sui diritti. E questo perché ormai l’agenda delle associazioni che si battono ad esempio per l’utero in affitto, agenda che giustamente spinge più che può verso le riforme più connotate possibile, visto il lavoro che fanno, è venuta a corrispondere per inerzia a quella del Partito Democratico senza che queste proposte abbiano davvero trovato all’interno del Nazareno il momento di un dibattito franco e soprattutto una posizione unitaria. Ed ecco che Elly Schlein è favorevole alla gestazione per altri, è il capo del partito, è stata votata alle primarie, ma non lo può dire. Perché la maggioranza delle donne e dei cattolici democratici sono invece contrari, e fanno prevalere la componente del rischio sfruttamento in nome del denaro a quella dell’avanzamento scientifico e culturale del concetto di genitorialità. E così succede che il partito in affitto abbia una classe dirigente all’apparenza di sinistra ma che non è in grado di portare in Parlamento nemmeno un emendamento alle proposte del governo su queste materie, perché rischierebbe o di scrivere una democristianata d’altri tempi o di affondare sotto i colpi amici. Basti guardare le cronache di queste ore. Se il capogruppo dice Alfa pochi minuti dopo il vice capogruppo dice Omega, il tutto mentre gli ex Pd già fuoriusciti lanciano appelli quotidiani ai cosiddetti riformisti moderati per abbandonare la barca. La stessa cosa vale per la guerra. Anche su questo tema il Pd è profondamente diviso. La posizione ufficiale, inaugurata da Letta proprio nei giorni dell’invasione russa dell’Ucraina, cioè la posizione della Nato che si riassume nelle parole armi armi armi, non è affatto unitaria. E anche in questo caso la segretaria Schlein, convinta che questa strategia sia sbagliata e porti a un allungamento del conflitto, non lo può dire. E via elencando. Inutile dire che questo è un ulteriore favore al governo di Giorgia Meloni, che ormai da almeno tre mesi proprio di fronte ai temi più spinosi si trova di fronte una opposizione non solo divisa fra partiti diversi, ma anche dentro il partito che dovrebbe guidarla. Le strade sono due: continuare a dare libertà di coscienza come all’Europarlamento sull’ultimo decreto armi dell’Ucraina che introduce anche la possibilità di usare i fondi del Pnrr per comprare carri armati da mandare a Kiev, oppure fermare il disco, tornare indietro all’inizio e avviare quel percorso non solo formale di costruzione di un pensiero e di una leadership che diano al Partito Democratico due caratteristiche che oggi non ha: dei confini culturali chiari da mostrare agli italiani, affinché essi possano decidere di farne parte o meno, di votare o meno. L’epilogo di quel percorso nato con le primarie che portarono Walter Veltroni da fondatore a leader di questo nuovo soggetto, degenerate negli anni in un processo certamente democratico nella forma ma assolutamente inadatto a costruire fondamenta solide al progetto alternativo alla destra. In assenza delle quali l’unica strada possibile per quel partito è restare una classe dirigente in affitto.


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