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Il payback sanitario diventa un caso: ora le aziende tremano

di Cristiana Flaminio -

SANITA INFERMIERI SANITARI MEDICI MONITOR


L’ultimo regalo di Mario Draghi, un incubo chiamato payback. Le piccole e medie imprese della sanità tremano mentre il governo e il parlamento giocano alla guerra affastellando armi da consegnare all’Ucraina, gli ospedali italiani rischiano di vedersi catapultati in uno scenario bellico. Ci sono da pagare ben 2,2 miliardi di euro alle Regioni per “contribuire” agli sforamenti dei tetti di spesa. Il termine per il pagamento scadeva a gennaio ma il governo, con un decreto, l’ha slittato a fine aprile. O no? Già, perché tra le aziende serpeggiano, ormai da qualche giorno, rabbia e paura: fonti interne alle associazioni di categoria raccontano di un clima tesissimo tra gli imprenditori perché, ormai da qualche giorno, “girano” pareri legali secondo cui i pagamenti alle Regioni andranno corrisposti già entro la metà di febbraio. Per le imprese si tratterebbe di una mazzata capace di mettere in ginocchio un intero settore. Per i cittadini, il rischio di trovarsi con ospedali a corto di tutto: dagli aghi ai macchinari salvavita, dalle coperte agli strumenti di diagnostica e di dialisi.
Si tratta di una norma inserita nella manovra del 2015 dal governo Renzi in piena foga spending review. Dopo essere rimasta congelata, è stata “riattivata” dal decreto Aiuti bis di Draghi. In pratica, le aziende del settore farmaceutico e biomedicale devono contribuire a ripianare gli sforamenti ai budget sanitari delle Regioni. Inizialmente avrebbero dovuto accollarsene il 40% ma, nel corso del tempo (e delle finanziarie), la percentuale è salita fino al 50%. Il conto è salatissimo: 4,4 miliardi è il “buco” nazionale, le imprese dovranno sborsare in tutto 2,2 miliardi di euro e dovranno farlo, pro quota (calcolata sul fatturato). Il guaio, però, è che il 94,5% del settore è composto da piccole e medie imprese. Che finirebbero stritolate dall’esborso e che si potrebbero trovare costrette a ridimensionarsi o addirittura a chiudere baracca e burattini. Così gli ospedali si ritroverebbero impossibilitati a rifornirsi di tutto, e a pagare il conto (vero) sarebbero ancora una volta i cittadini che potrebbero sperimentare gravissime ripercussioni sulle prestazioni del sistema sanitario nazionale. L’ultima finanziaria Meloni ha fatto slittare i pagamenti ad aprile ma ora le aziende, sulla scorta di pareri tecnici e legali, temono che in realtà dovranno pagare già entro febbraio. Il Mef, insieme ai funzionari del ministero della Sanità, starebbe lavorando a un maxi-sconto che porterebbe l’ammontare totale del payback a “soli” 700 milioni. S’era parlato persino dell’ipotesi fantascientifica di un ripiano totale del deficit sanitario delle Regioni che sarebbe dovuto partire proprio dal governo centrale. Più che impegno, in questo caso ci sarebbe voluto un miracolo. Nonostante gli spifferi che, da giorni, si registrano sul “maxisconto”, di comunicazioni ufficiali non ce ne sono. Né, sembra, che potranno essercene a stretto giro. Così, come è successo coi benzinai, l’esecutivo, questa volta insieme al parlamento, rischia di trovarsi impelagato dentro l’ennesimo cortocircuito con un’intera categoria a causa di un confronto che non c’è e, se c’è, non appare, con ogni evidenza, sufficientemente chiaro.
Ma la questione, se possibile, è anche più complicata di così. Già, perché le risorse non bastano mai e c’è già chi reclama, o quantomeno si fa i conti con i denari che le 4.546 imprese del settore dovrebbero scucire. Si tratta dei medici che, in queste ore, sono impegnati nelle trattative per il rinnovo dei contratti. E che sono molto scettici, come Cimo-Fesmed, che in una nota afferma: “Per i medici dipendenti del Ssn stanno per aprirsi le trattative per il rinnovo del contratto di lavoro, sebbene già scaduto. Ma prima di sedersi al tavolo dell’Aran, una domanda sorge spontanea: le Regioni, e dunque le Aziende, hanno le risorse necessarie per dare alla dirigenza sanitaria quanto le è dovuto? Si tratta di un dubbio legittimo, considerate le difficoltà economiche che, all’indomani dell’emergenza pandemica, molte Regioni stanno segnalando”. A cui, secondo i rappresentanti dei camici bianchi “si aggiunge il rinvio del payback farmaceutico, che impedirà alle Regioni di incassare 2,2 miliardi prima di aprile”.
La notizia legata allo slittamento ad aprile fu accolta con soddisfazione dalle associazioni di categoria e dalle imprese biomedicali. Però il coro unanime fu nella richiesta di rivedere tanto i costi quanto i soggetti tenuti al pagamento della “tassa”, con l’esenzione delle imprese più piccole. E su questo punto, per ora, ci sono soltanto silenzi.

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