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IL PICCHIO – Caos Almasri: istituzioni da liturgia a reality

di Giuseppe Tiani -


In principio fu la cravatta, poi, con il dissolversi della prima Repubblica, arrivò la toga e iniziò la guerra civile. L’amore tra magistratura e politica è passionale, velenoso, tragico, eterno come le teste di moro siciliane. I giudici custodi e detentori del martelletto, così come il martello di Thor per i popoli norreni simboleggiava la lotta tra ordine e caos, pronto per colpire al momento giusto.

Politici indignati denunciano la tracimazione dei poteri e la messa in discussione dell’equilibrio democratico, ogni volta che un avviso di condanna e non di garanzia, bussa alla porta. Pasolini, il grande intellettuale dissacrante e lucido poeta, narrava delle istituzioni con rispetto sacrale, le considerava luoghi amorevoli più che espressione del cinico potere. Nella sua condivisibile visione, persino i tribunali, le caserme di polizia, le scuole erano spazi in cui si celebrava il senso della comunità. Quell’idea oggi è un’eresia, le istituzioni vengono interpretate e violentate in dibattiti di terz’ordine, ove ogni affermazione dipende dall’ultimo tweet.

La cronaca degli eventi è un talk show, gli avvocati sembrano attori, i magistrati considerati opinionisti e gli imputati di gravi omicidi parlano di sé stessi come perseguitati, le forze di polizia considerate testimonial da spot delle patatine. Il Parlamento dà una rappresentazione di sé, non diversa da una sagra di paese più che il tempio della democrazia, mentre dovrebbe contenere, incanalare, sublimare il conflitto tra i poteri. La res publicae è sostituita dalla cosa propria, il caos un format vincente. Il copione: un politico, o un manager indagato, e le aule di giustizia diventano campi di battaglia, i magistrati accusati di tramare nell’ombra come personaggi secondari di un dramma di Euripide riscritto da Eduardo e interpretato da Totò e Peppino, la scena è animata dai paladini del popolo che non li vota e da pubblici ministeri, che, per i più informati, ambiscono a detronizzare il nostro Dio ma con mandato a termine, per poi entrare in Parlamento dopo la pensione.

E così i cittadini attoniti, esseri evanescenti e mitologici, pagando le tasse per lo spettacolo, hanno compreso che nella lotta tra politica e giustizia, non emerge la verità, ma chi deciderà cosa è vero. La satira arresasi alla realtà, superata in assurdità dalla tragicommedia nazionale, in cui il giudizio utile è quello delle urne che come in certi processi: l’assoluzione è sempre perché il fatto non costituisce più reato. Sipario e fischi, domani si replica per gli applausi.


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