Attualità

Il Ponte e la sindrome dell’Italia in equilibrio

di Francesca Albergotti -


Il Ponte si farà. È legge, e così, dopo 60 anni di costosi progetti si riparte con i trionfalistici proclami che intendono assolutizzare l’uomo e le sue conquiste terrene in nome di un certo sviluppo che promette spazi indefiniti di progresso e evoluzione. Gli scettici tacciati di disfattismo nel non voler riconoscere la sfida titanica dell’uomo contro la natura e di temere un’ancestrale vendetta implacabile della stessa, di non avere fiducia negli assoluti benefici della tecnologia e nutrire un’ottusa, ideologica diffidenza verso la complessità dell’opera e il suo impatto sul territorio, oltre che dubbi sulle sue coperture finanziare. Vero è che all’architettura ingegneristica dobbiamo stupefacenti capolavori dell’arte della costruzione che sbalordiscono il mondo. Basti pensare alla straordinaria abilità degli antichi romani e delle strade e dei ponti ancora percorribili, alla grande muraglia cinese, alle piramidi, alla diga delle 3 gole in Cina, ai 25km di un tunnel che trafigge il cuore di una montagna, insomma nonostante la massima di de Gaulle secondo cui “la geografia è un destino” l’essere umano ha dimostrato nei secoli che la geografia è condizione oggettiva, ma sta a noi interpretarne i limiti per indirizzarla a nostro favore, sfruttandola fin dove possibile, forzandola se serve. L’Italia poi, a causa della sua conformazione nei secoli ha dovuto imparare a fare di necessità virtù e superare enormi difficoltà tecniche per scavare, traforare, allacciare e dividere fino a mettere a punto capacità ingegneristiche ma anche di fantasia e estro che ci sono universalmente riconosciute. Cavour volle fortemente il traforo del Frejus e per trovare i 41 milioni necessari per bucare le Alpi affermò in un vibrante discorso al parlamento “farlo o non farlo significa progredire o regredire, è impresa gigantesca, la sua esecuzione dovrà però riuscire a gloria e vantaggio del Paese e io nutro ferma fiducia che voi coronerete la vostra opera colla più grande di tutte le imprese moderne”. Ma allora era il 1856. In questi giorni le immagini di un edificio in costruzione crollato a Firenze seppellendo 5 operai sotto il cemento si alternano al rendering dell’imminente realizzazione del ponte che nei progetti sarà il ponte sospeso più lungo del mondo: unica campata per 3700 mt totali e una larghezza di 60 mt per 4 corsie stradali e due binari ferroviari, 2 coppie di torri alte 400mt a reggere cavi, pendini e altre marchingegni che sosterranno il ponte. Io non so niente di ingegneria ma analizzando la parola “sospeso” riferita a un ponte immagino che stia a indicare una struttura che penzola da cavi attaccati ad altri cavi, i quali sono assicurati a torri poste alle estremità. A teorizzare per primo questo tipo di ponte fu nel 1500 un certo Fausto Veranzio che ne illustrò con pregevoli incisioni gli straordinari vantaggi, ma ci vollero 300 anni perché si diffondesse la realizzazione dei ponti sospesi: dal Golden Gate all’Akashi in Giappone con la campata principale di quasi 2000 mt fino ad arrivare al ponte dei Dardanelli in Turchia che detiene il primato del ponte sospeso più lungo del mondo. Anche il ponte Morandi era un ponte sospeso, pare che qualche ingegnere lo guardasse con sospetto per le sue “soluzioni tecniche ardite” in quanto non aveva ridondanze, cioè se avesse ceduto una parte le altre non sarebbero state dimensionate per far si che la struttura reggesse. Appunto. L’equilibrio di queste strutture è determinato da un legame a catena tra i vari elementi, se uno si rompe viene meno il legame con gli altri e quindi l’equilibrio. Il colossale ponte di Yangmingtan era appena stato inaugurato ed era considerato un capolavoro ingegneristico cinese. Fino a quando una delle rampe d’accesso alla struttura ha improvvisamente ceduto. Secondo le autorità cinesi la colpa è di quattro camion con carichi pesanti non autorizzati che hanno imboccato contemporaneamente la rampa provocandone il crollo, anche se c’è il dubbio che siano stati usati materiali scadenti per la costruzione. In Indonesia è crollato di schianto per il cedimento improvviso di un cavo di supporto quello che era stato soprannominato il “Golden Gate del Borneo” lasciando “sospese” nel fiume 20 vittime. Pur nutrendo immensa fiducia nei calcoli dei tecnici quando sento sciorinare gli indiscutibili vantaggi di questo strepitoso ponte mi abbranca la sindrome di Cassandra per sussurrarmi all’orecchio profezie avverse: il consorzio che si è aggiudicato i lavori non avrà vinto perché ha economizzato sui cavi metallici? O appaltaterà parte dei lavori a ditte scriteriate? Quel vento del canale, indotto dal cambiamento climatico non soffierà troppo forte fino a far dondolare il ponte come un pendolo e scaglierà giù in mare macchine camion e carrozze ferroviarie? Non c’è geologo che possa assicurare che non si ripeterà il terremoto scala 7,1 Richter che nel 1908 rase al suolo Messina e Reggio Calabria lasciando 100.000 vittime. E quei 3 vulcani ancora attivi nei paraggi? Non sarà che un giorno, troppo tardi, scopriremo che non è più come credeva il Gattopardo: forse cambiare tutto non lascia niente, o quasi, come prima?Io nel dubbio in Sicilia ci andrò in aereo.


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