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“Il potere alle regioni, Così l’Italia diventa un Paese Arlecchino”: Parla Gianfranco Viesti

di Giovanni Vasso -

GIANFRANCO VIESTI ECONOMISTA DOCENTE UNIVERSITARIO


Non chiamatela riforma. L’economista Gianfranco Viesti, professore ordinario di economia applicata nel dipartimento di scienze politiche dell’Università di Bari, boccia senz’appello il progetto di legge che, orientativamente a fine aprile, sbarcherà in parlamento: “Con l’autonomia di Calderoli, l’Italia diventerà un Paese arlecchino, con il parlamento tagliato fuori, un governo centrale senza poteri, tutti in mano ai presidenti delle Regioni. Un Paese ridicolo, come nessuno al mondo”.

Professor Viesti, come valuta la proposta di legge sull’autonomia differenziata?
Malissimo. È una proposta che norma il processo di attribuzione delle competenze alle Regioni ma non ci dice niente su quali siano le competenze e le risorse finanziarie. È soltanto un dispositivo che definisce i passaggi per arrivare all’approvazione di questo decentramento di competenze, nell’interesse delle Regioni che le hanno chieste. L’obiettivo principale è escludere qualsiasi ruolo del Parlamento e qualsiasi dibattito parlamentare in materia, per accentrare tutto il potere nella trattativa diretta fra egli stesso, il ministro Calderoli, e i presidenti delle Regioni che hanno fatto richiesta. L’esclusione del Parlamento è gravissima perché, trattandosi di una materia così importante che implicherebbe una radicale trasformazione dell’Italia, è inconcepibile che non abbia nessun ruolo neanche di discussione.
A quale trasformazione andrebbe incontro il Paese?
L’Italia diventerebbe un Paese ridicolo, un Paese Arlecchino in cui i principali poteri pubblici sarebbero tutti nelle mani dei presidenti delle Regioni e al governo centrale rimarrebbe poco e niente. Per di più, i poteri conferiti alle Regioni sarebbero anche diversi tra di loro. Un Paese ridicolo, che non esiste in nessuna parte del mondo.
Con questa riforma, si allargherebbe il divario Nord-Sud?
Innanzitutto, non la chiamerei riforma. Piuttosto siamo davanti all’attuazione, forzata e assolutamente estesa, di un comma della Costituzione richiesta da alcune Regioni. Così non si riforma un bel niente ma si peggiorano la situazione delle poi delle politiche pubbliche. Le tesi di alcuni presidenti del Nord, come Zaia e Toti, sono fumo. È un tentativo di non parlare di cosa si sta decidendo davvero ma di buttarla in caciara, di parlare d’altro. Fanno parte di una strategia molto lucida che è volta a impedire, ai cittadini italiani, di capire che cosa sta succedendo. Si parla di massimi sistemi ma non si parla mai nel merito. Ho letto, tempo fa, un’intervista al presidente Toti al Corriere della Sera. Ha parlato di tanti aspetti filosofici. Ma i lettori del Corriere non sanno che il presidente Toti vuole la potestà sulle reti ferroviarie, autostradali e sul porto di Genova per poter stabilire concessioni e canoni. Se gli italiani lo sapessero, e se lo sapessero anche le imprese, pure quelle di Lombardia e Piemonte comincerebbero a preoccuparsi. E a capire che questa disgregazione del Paese alla fine danneggerà anche loro. Per quanto riguarda tutte le regioni italiane non coinvolte nel processo, la Regione italiana che sarebbe più devastata da questa iniziativa è certamente il Lazio. Perché Roma ne riceverebbe un corpo mortale. Dato che Veneto e Lombardia, in piena coerenza leghista, vogliono ottenere più risorse di quante oggi lo Stato ne spenda nei loro confini e visto l’imbarazzante silenzio, al riguardo, della Regione Emilia-Romagna, è evidente che se così fosse tutte le altre Regioni italiane sarebbero fortemente penalizzati.
Che mobilitazione servirà, se servirà, a sostenere le ragioni del no?
La strada la strada è lunga e ricca di problemi. Trovo incredibile che i rappresentanti parlamentari di destra possano svendere l’unità del Paese e l’organizzazione delle politiche pubbliche solo per dare soddisfazione al presidente Zaia. Il dibattito parlamentare sarà interessante ma è solo su come si procede, non sul merito delle richieste. La legge Calderoli impedirà al Parlamento di dire alcunché su come sarà la scuola italiana, la sanità italiana, sulle normative sull’energia, sull’ambiente, sui beni culturali. Il Parlamento è completamente tagliato fuori dalla decisione. Il dibattito pubblico è ancora molto modesto. E un po’ vivo in alcune aree del Mezzogiorno ma gli italiani sono completamente disinformati. Bisogna fare uno sforzo notevolissimo per informarli, soprattutto al Nord, coinvolgendo le categorie produttive per i rappresentanti del mondo sindacale, delle associazioni in questa discussione. Noi, come coordinamento per la democrazia costituzionale (il cui primo firmatario è il professor Massimo Villone) stiamo raccogliendo le firme, anche sul sito istituzionale (www.coordinamentodemocraziacostituzionale.it ndr) dove si può sottoscrivere anche con lo Spid, su un progetto di legge di iniziativa popolare di riforma della Costituzione, che serve proprio per consentire un dibattito in Senato su che Italia vogliamo.


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