Editoriale

Il premierato è il bene comune

di Adolfo Spezzaferro -


Speriamo sia la volta buona: il premierato serve all’Italia e serve alla politica. È necessario per riportare gli elettori a votare e per dare stabilità e affidabilità internazionale al Paese. Su queste colonne siamo intervenuti più volte per motivare la nostra adesione a questa riforma costituzionale anti-ribaltoni che cambierà in meglio la nostra nazione. Seguiamo dunque con interesse l’iter parlamentare e l’attività di governo per portare a casa (degli italiani) l’elezione diretta del presidente del Consiglio. Più democrazia di così, non ce n’è. I cittadini potranno decidere in prima persona chi sarà a capo del governo che guiderà il Paese, ne saranno dunque direttamente responsabili. Senza dubbio la via migliore, la più virtuosa, la più efficace per riportare alle urne chi non crede più nella politica e nelle istituzioni e dare quindi una più ampia rappresentanza a chi ci governa. Sul fronte della stabilità e della possibilità di poter pianificare politiche di ampio respiro va da sé che il premierato è la scelta giusta. “Ogni volta che cambia un governo si ricomincia tutto daccapo. Questo porta con sé molti problemi: non poter fare riforme strutturali, non poter sviluppare strategie, non potersi permettere di fare investimenti che hanno bisogno di tempo e non danno consensi nell’immediato: lo abbiamo visto con una spesa ferma e un debito pubblico che aumentava”. Lo ha spiegato ieri la premier Giorgia Meloni, nel suo intervento al convegno “La Costituzione di tutti. Dialogo sul premierato” a Montecitorio. La premier assicura che il primo obiettivo della riforma “è quello di garantire che i cittadini abbiano voce in capitolo. Il secondo è quello di assicurare che chi viene scelto dal popolo possa farlo con un orizzonte di legislatura e possa avere il tempo per portare avanti il programma con cui si è presentato ai cittadini. Il tempo e la stabilità sono una condizione determinante per costruire qualsiasi strategia. Sono obiettivi di sistema per noi irrinunciabili e non sono nuovi nella storia repubblicana”. Da qui l’invito alle opposizioni di non “approcciare questi temi in maniera ideologica, seguendo gli interessi di oggi, che purtroppo vedo essere la tendenza prevalente”. “Ma sarebbe un errore gettare la spugna. Più restiamo a rimanere nel merito, senza posizioni di partito preso, più possiamo sperare di arrivare a un testo migliore”, spiega. La premier poi lancia un monito: “Chi ritiene di essere depositario esclusivo della Costituzione ne mette, per paradosso, in crisi la funzione unificante. Se la Costituzione è di tutti – ed è di tutti – la sua interpretazione non può privilegiare una sola cultura politica o un solo punto di vista”. In tal senso un passaggio dell’intervento della Meloni centra in pieno il punto: “La Costituzione offre una cornice, fissa dei paletti, ma si pone il problema di garantire l’autonomia della politica. Perché si fonda sulla sovranità popolare che è la principale fonte di legittimazione del sistema. La democrazia poggia sul principio di maggioranza”. Figuriamoci quindi se va considerata intoccabile perché ritenuta tale da una sparuta e miope minoranza, che peraltro campa di ribaltoni. Infine la Meloni ribadisce che il suo impegno è per il bene del Paese, non della maggioranza: “Questo è un governo solido, stabile, io non ho bisogno di fare questa riforma, per me è un rischio”. In ogni caso, conclude, “se non si riesce ad approvare la riforma con i due terzi del Parlamento, andrà benissimo sottoporre ai cittadini la scelta. Si dice che non è bene arrivare a un referendum divisivo, ma ricordo che la Repubblica è nata su un referendum divisivo, perché così è la democrazia”.


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