Editoriale

IL PRESIDENTE OPERAIO

di Tommaso Cerno -

Tommaso Cerno


Il presidente operaio. Il sogno di Berlusconi si realizza e materializza davanti alla platea della Cgil, dove il premier Giorgia Meloni è riuscita a segnare un punto fondamentale per la sua leadership. Al netto della protesta più che annunciata, il Presidente del Consiglio ha parlato al mondo operaio, ai poveri, mostrando che dietro le bandiere del più grande sindacato italiano storicamente legato alla sinistra c’è un popolo diviso, che non vota affatto in blocco per il Partito Democratico. E così il passaggio di consegne con quel Presidente operaio che più di 20 anni fa aveva mostrato di iniziare un dialogo con una parte dell’elettorato che si stava staccando dalla sinistra, Silvio Berlusconi, e il famoso manifesto che fece parlare tutto il mondo si è completato ieri. E mentre la platea protestava, senza negare tuttavia uno storico applauso durante il discorso di Meloni, quando il premier ha condannato l’assalto della destra estrema alla Cgil, quello che avveniva davvero davanti agli occhi di milioni di italiani era un’apertura diretta a un mondo di lavoratori che hanno già in tasca da anni la doppia tessera: il sindacato di Landini e il partito di Meloni. È per questo che la protesta che intona “Bella ciao”, i balneari che fischiano all’ingresso, i pupazzi che ricordano al premier il senso di vuoto lasciato dal Governo nelle prime ore del drammatico naufragio di Cutro, non sono bastati a fermare il dialogo fra il premier e una parte molto confusa, stremata, in difesa del mondo del lavoro italiano ormai in subbuglio. E a suggellare quello che sembra il passaggio definitivo verso una leadership sempre più solitaria del nuovo centrodestra che ha vinto le elezioni politiche a settembre c’è pure il ponte sullo stretto di Messina. Possiamo ridere quanto vogliamo degli annunci di Matteo Salvini, possiamo schermirci e ripetere che si tratta solo di un tormentone elettorale che riemerge a cadenza fissa da vent’anni nel dibattito pubblico ma stavolta l’impressione è che quello che fu il grande progetto mai realizzato da Berlusconi molti anni fa torni a segnare una ripartenza anche culturale del popolo della destra dopo avere raggiunto Palazzo Chigi. L’ha ammesso anche il Cavaliere, che quel ponte non è solo un ponte e che rappresenta invece la nuova sfida di una coalizione che pare avere trovato, pur tra mille difficoltà, un’alchimia capace di voltare pagina e proseguire la strada che sembrava definitivamente interrotta dalla caduta di Berlusconi all’epoca del governo Monti. Se la sinistra non avrà occhi e orecchie attenti per capire davvero cosa è successo ieri in quella sala, rischia di prendere una cantonata enorme e di rifugiarsi per l’ennesima volta in una opposizione fatta di simboli, di storia passata e del tutto scollegata dal senso di marcia che la destra sta, pur fra mille difficoltà, dando al proprio governo. L’applauso spontaneo che ha accolto Elly Schlein è stato un segnale forte, a cui deve seguire un’azione politica che abbia al centro gli interessi di milioni di italiani delusi dagli anni del governismo a tutti i costi e scappati da quella che era stata per decenni la loro casa. Se il Partito Democratico farà questo, e non soltanto rumore di tamburi e di fischietti, forse potrà costruire un’alternativa all’idea dell’Italia che, piaccia o no, Giorgia Meloni ieri ha dimostrato di avere. E’ una strada lunga lunga. Ma è l’unica strada.


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