Cultura & Spettacolo

“Il primo giorno della mia vita” di Paolo Genovese arriva in sala

di Redazione -


di BENEDETTA BASILE

 

E’ uscito da sole poche settimane nelle sale cinematografiche, eppure “Il primo giorno della mia vita” sta già sbancando al botteghino.
Con questa pellicola il regista, Paolo Genovese, torna alle atmosfere più intense, cupe, quasi metafisiche, tra fantasia e realtà.
Arianna ha perso la figlia e non riesce a darsi pace, Napoleone è un motivatore in grado di spronare tutti gli altri a parte sé stesso, Emilia è costretta sulla sedia a rotelle e ha dovuto mettere la parola fine alla sua carriera nella ginnastica artistica e, infine, Daniele è uno YouTube privo di autostima.
I quattro vengono contattati da un uomo misterioso, proprio quando hanno deciso di farla finita, che vorrebbe mostrare loro un punto di vista diverso da cui guardare la loro situazione. Il tempo a disposizione è una settimana, in cui rimarranno “sospesi”, nessuno si accorgerà della loro presenza e staranno senza bere e mangiare.
Il tema centrale del film è, quindi, il suicidio come risoluzione in mancanza di alternative, non da tutti i personaggi emergono emozioni in una condizione comune che si avvicina all’annichilamento.
Anche i dialoghi più che sentiti sembrano declamati: i sentimenti sono tenuti a distanza dai quattro walking dead che quindi non instaurano molta empatia emotiva con lo spettatore.
Ma il suicidio non è l’unico tema “complesso” che viene affrontato in “Il primo girono della mia vita”, viene, infatti, seguito da domande di portata “esistenziale”, come “Cos’è la felicità?”, “Perché vale la pena vivere?” e “Ci si può salvare da soli?”
A tutto ciò non può mancare una buona dose di male di vivere. Il film è ispirato all’omonimo libro di Paolo Genovese.
“Il seme di questa storia è nato dopo aver visto il documentario ‘The Bridge – Il ponte dei suicidi’, il regista Eric Steel piazzò una telecamera in cima al Golden Gate Bridge riprendendo tutti i suicidi consumati là sopra.
Poi è andato a intervistare chi è sopravvissuto al salto nel vuoto e tutti hanno raccontato di essersi pentiti in quei sette secondi che cadevano nel vuoto”, racconta Genovese alla presentazione stampa, “quei sette secondi sono diventati i sette giorni del mio film. Ho riscritto la sceneggiatura mille volte, buttando via interi capitoli: il rischio di essere banali, superficiali, ridondanti è sempre molto alto quando si parla del senso della vita. Tuttavia misurarci con qualcosa che ci allontana dalla propria comfort zone è uno studio necessario per lavorare bene.


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