Politica

Il ricordo dell’ex ministro. Addio Gerardo Bianco maestro della mia Dc che inventò l’Ulivo

di Redazione -


di Gianfranco Rototndi

Ad annunciarlo è stato Pierluigi Castagnetti su Twitter,pochi minuti fa: stanotte se ne è andato Gerardo Bianco, uno dei leader storici della Dc, poi confluito nel Partito Popolare, di cui fu il primo segretario,nonché fondatore dell’Ulivo. Si dice che piangere uno scomparso sia piangere se stessi : e oggi per me è esattamente così,perché Gerardo Bianco era un pezzo della mia vita personale e politica.
Amava dire che mi aveva adottato politicamente quando avevo i calzoni corti,e tecnicamente era falso, ma solo per il dettaglio di abbigliamento: fui ammesso alla sua corte a quindici anni, e fu una scuola di vita e di impegno civile impareggiabile e senza nessun paragone con alcuna altra storia partitica e correntizia.
Bianco non era un capo alla maniera dei notabili democristiani, specie meridionali: era un libero pensatore, cultore ossessivo della autonomia propria e degli altri. Non imponeva disciplina, nè la tollerava. La sua storica battaglia contro le correnti era anzitutto la difesa di un principio di libertà e autonomia. E da ciò discendevano tutti i principi che ispirarono la sua lunghissima azione politica: la difesa del parlamento, della sua dignità e libertà; il senso del partito come strumento di partecipazione e non di divisione del potere; l’allergia al clientelismo, vissuto come il male antico che attanagliava il Mezzogiorno e ne impediva il decollo.
Un giorno Antonino Zichichi, suo grande amico, disse in pubblico: ‘ conosco un solo uomo politico sulla cui onestà firmo a occhi chiusi: Gerardo Bianco’. Verissimo: nessuno ha mai dissentito da questo unanime giudizio.
Ma l’onestà di Bianco non era quella del gentiluomo che non ruba. Era qualcosa di più: non custodiva la virtù in una teca, bensì la spendeva nella lotta politica, la scagliava come un dardo contro la politica che non gli piaceva.
Fu oppositore della solidarietà nazionale, nella quale vedeva un respiro mancante di libertà, una minaccia per l’evoluzione della democrazia dell’ alternanza. Il suo non fu anticomunismo viscerale, tant’è che nella diaspora democristiana lui scelse la riva sinistra,pur con l’autonomia e la sofferenza di uno spirito nato libero e rimasto libero.
Fu a quel bivio che le nostre strade si divisero: io preferii la riva berlusconiana, lui non condivise mia quella scelta. Vivemmo quel dissenso alla manièra di Gerardo Bianco,appunto: senza sconti, senza ipocrisie – diciamolo- democristiane, ma senza mettere a rischio – neppure per un momento- il nostro straordinario rapporto umano.
Il centrosinistra gli deve molto: l’ha fondato lui, praticamente. Gli ha restituito poco,niente direi: non dico dove Bianco aveva diritto di essere, perché non voglio procurargli la prima incazzatura dell’oltretomba.Aveva pudore delle ambizioni, e riluttanza ai ruoli di potere. Rifiutó sempre la scorta, e non ebbe mai paura. Una sola volta , negli anni di piombo, nella stazione di Napoli due giovani ci avvicinarono e gli chiesero se fosse Gerardo Bianco, e lui rispose prontamente di no. Poi soggiunse verso di noi che lo accompagnavamo: ‘l’ho fatto per voi, perché quella domanda talvolta precede l’esecuzione del commando’. Erano gli anni ottanta, e i democristiani cadevano sotto il fuoco delle Brigate rosse.
Gerardo Bianco ha avuto il premio di spegnersi serenamente a casa, a novantuno anni, circondato dall’affetto di una meravigliosa famiglia che gli somiglia tutta. Amava scherzare sulla morte,non la temeva.Vorrei accontentarlo con una battuta degna della sua letizia cristiana,ma proprio non mi viene. Penso all’ultima telefonata,rassicurante ‘passeremo anche questa’. Sembrava ottimista,e forse lo era, perché quello di oggi lui lo viveva solo come un passaggio.
Grazie,Presidente.


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