Attualità

Il segno lasciato dal giudice Amato è incancellabile

di Redazione -


Maria Concetta Mattei traccia un profilo inedito ed avvolgente del magistrato degli anni di piombo e poi direttore del Dap

 

Nicolò Amato: “Un giudice deve farsi perdonare”, Maria Concetta Mattei ne traccia un profilo inedito e avvolgente Roma – 22 lug 2021 (Prima Pagina News) – Partiamo proprio da questa “solenne” anticipazione che fa di Nicolò Amato, ex Direttore del D.A.P. dopo le stragi del 1992, Maria Concetta Mattei: “Ci sono uomini speciali. Uomini che guardano più lontano e puntano più in alto.Sono quelle persone che fanno crescere la società, la migliorano, con le loro riflessioni a voce alta, il loro stesso esempio. Persone rare, che emanano una luce così particolare, da attrarre l’attenzione di tutti. Non si ergono a leader, eppure di fatto sono riconosciute come tali. Sembrano irraggiungibili, ma basta ascoltarle per entrare nel loro mondo ideale. Quando ero una giovane cronista, Nicolò Amato era già PM carismatico. Guardavo in Tv i processi, che hanno segnato la nostra Storia recente,lui era lì. Dentro i suoi gesti eleganti, una fermezza rara. Una determinazione lucida”. 

 

Ma questa è solo la “carezza iniziale”. Maria Concetta Mattei va molto oltre, e aggiunge: “Nicolò Amato ha lavorato con abnegazione nella e sulla realtà,secondo un progetto ideale di qualità altissima. Si è speso senza riserve. Con fatica e passione. È uno di quegli uomini speciali che colpiscono a prima vista. Ha una forza interiore che diventa magnetica, che avvince. Porta altrove. Se lo ascolti, ti apre il sipario sulla realtà dei fatti, anche i più complessi. Se lo leggi, capisci che la sua vita è un dono per tutti”. 

 

Un inno alla vita, un inno alla professione del magistrato, un inno al carattere sereno e trasparente che Nicolò Amato aveva anche nei momenti più difficili della sua esperienza professionale. 

 

“Dedico questo libro -sottolineava lo stesso Nicolò Amato- a chi, come me, si chiama: Nessuno ed è mio fratello perché figlio del Padre celeste e uguale a me nella natura e nel destino, tutti meteore un lampo di luce che il buio subito inghiotte, nello specchio tutti lo stesso volto che il tempo impietoso calpesta, tutti polvere dello stesso colore senza nome e senza volto dispersa nei secoli e negli spazi, questo soltanto rimane di chi fu, di quel che fu se fu davvero, nessuno sa nessuno ricorda, che cambia se fu o non fu?, siamo tutti Nessuno siamo tutti Nulla, Nessuno che abbraccia il Nulla, al più l’onda del mare che leggermente si increspa, la brezza è finita l’acqua ritorna immobile, chi se n’è accorto?”.

 

“Cercare la Verità, servire la Giustizia. Questa – scrive ancora di lui Maria Concetta Mattei – la sua vocazione. In ogni tappa della sua carriera, neanche un giorno è trascorso senza Servizio. Da servitore dello Stato ha portato una luce di Speranza anche nelle carceri. Negli anni in cui è stato a capo del D.A.P. ha restituito dignità a chi era detenuto. Senza alcun cedimento ai potenti”.

 

Rieccolo Nicolò Amato, in tutta la sua forza, e in tutta le bellezza di quello che era il suo grande sogno segreto: “Negli undici anni, dalla fine del 1982 al 1993, nei quali ho diretto l’Amministrazione penitenziaria italiana, ho cullato il sogno di un carcere della speranza, aperto alla società esterna e rivolto a recuperare i detenuti piuttosto che ghettizzarli. Sognavo che, fin quando la imperfezione della giustizia umana non consentisse di fare a meno della necessità del carcere, fosse almeno possibile lottare per liberarsi del carcere quando non era necessario e perché comunque gli uomini chiusi in esso mantenessero viva la speranza e ne uscissero migliori o almeno non peggiori di come vi erano entrati. Un sogno, certo, che non poteva, forse non può realizzarsi per intero e, diversamente, che sogno sarebbe? 

Tuttavia, alla fine di quegli anni, l’utopia era forse un po’ meno distante dalla realtà. E anche dagli altri Paesi cominciavano a guardare ciò che facevamo in Italia”. 

 

Dentro questo saggio c’è il racconto dettagliato di una stagione drammatica della nostra storia repubblicana, e che oggi alla luce di quanto è accaduto in talune carceri italiane ridiventa più che mai attuale e reale. 

“Soltanto la fede può portarci oltre le sbarre, verso la luce, l’aria, i colori, gli odori, ma assai più lontano, al di là della terra, verso il cielo, verso il Dio che ci ha creato con il suo amore e ci attende con il suo perdono per asciugare le nostre lacrime e far finalmente morire la morte”. 

Ma la vita di Nicolò Amato non ha conosciuto solo successi e trionfi istituzionali, come fra l’altro era giusto che fosse per i servizi che aveva reso al paese e allo Stato. Anche per lui, un giorno, arrivò la vendetta sordida e disgustosa di chi non lo amava, e come tanti altri magistrati famosi ed eccellenti, ha pagato un prezzo troppo alto alla Repubblica, frutto tutto questo del suo modo di essere trasparente e profondamente cristiano -dice Maria Concetta Mattei- che in questa sua prefazione al libro dichiara in maniera palese e impareggiabile una venerazione nei suoi riguardi”. 

 

“Troppo onesto. Incorruttibile -ricorda Maria Concetta Mattei-. Una volontà d’acciaio, forgiata dall’imperativo interiore di una Società Giusta. Un carattere fermo, mai freddo né distante. 

Un animo sensibile, capace di empatia. Sempre meno protagonista della scena pubblica, è autore di analisi lucidissime. 

Dopo aver scritto tredici volumi, fra romanzi e saggi, con una cifra stilistica avvincente, ora, in questo libro, narra della sua Fede e del suo credere, che ha ispirato ogni scelta. Avevo letto di getto e senza soste tutto quello che ha pubblicato sin qui. Stavolta ho preso più tempo. Una pausa quasi ad ogni frase. Per coglierne ogni sfumatura. Per entrare nella biografia intima di un uomo speciale. E per ogni pagina, gli dico grazie”.

 

Semplicemente commovente ed emozionante la confessione pubblica che Nicolò Amato affida oggi ai ragazzi di Florindo Rubbettino: “Scrissi, tra gli altri, un libro, intitolato Oltre le sbarre, per dire della infinita tristezza e del bisogno struggente di aria, luce, colori, odori di chi è chiuso dietro un muro, un cancello di ferro e una grata alla finestra, dove ogni cosa, perfino le pareti dei corridoi e delle celle, i rumori e le urla, i lamenti, e i silenzi, i riti della disciplina ossessivamente ripetuti, l’aria stessa che si respira sanno di disperazione e di morte. 

Negli anni successivi- scrive ancora Nicolò Amato- sulla strada per ritrovare la fede, mi sono reso conto che noi uomini siamo tutti incatenati, per tutta la nostra vita, dalla nascita alla morte, nella prigione, assai più spaventosa, della caducità, in cui le nostre carni via via si putrefanno”.

 

Un libro scritto nel silenzio, questo di Nicolò Amato, che accompagna la parte finale della vita di ognuno di noi, e che forse è il momento ideale per affrontare un bilancio della propria vita. 

“Lo dedico a chi soffre da solo e a chi soffre perché è solo; a chi cerca e non trova; a chi domanda e nessuno risponde; a chi cammina e non ha dove andare; a chi tende una mano per chiedere aiuto mentre con l’altra aiuta chi è caduto; a chi lotta gioisce e piange con e per gli uomini non contro di loro”. 

 

Un romanzo, insomma– e qui ha ragione Maria Concetta Mattei- che si legge tutto d’un fiato, e che il famoso giudice italiano dedica a quello che probabilmente è stato il mondo attorno a cui è ruotata tutta la sua esperienza di magistrato.

 “Lo dedico a chi non giudica e non condanna; a chi ama perché ha bisogno d’amore; a chi perdona perché vuol essere perdonato; a chi ha paura quando si fa sera; a chi la notte aspetta il sonno fino al mattino e all’aurora aspetta la notte per dormire. Lo dedico a chi crede per conoscere l’inconoscibile, vedere l’invisibile, esprimere l’ineffabile; a chi spera contro ogni speranza; a chi s’inerpica su per la montagna dell’impossibile verso la vetta inondata di un sole che non tramonta, e cade e si rialza e continua a salire fino a che può e anche di più. Lo dedico a chi cerca Dio, lo cerca tanto da fare del cuore uno specchio in cui si riflette, pur pallidamente, l’eterno infinito chiarore del cielo abbracciato dall’arcobaleno: Signore, tu che mi sorridi da lassù, fammi tornare a casa da te”.

 


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