Editoriale

Il solito Letta, addio… no resto

di Tommaso Cerno -

Tommaso Cerno


 

Da quando Giorgio Napolitano, sbagliano anche gli uomini di un certo talento, gli ha consegnato senza alcuna ragione logica né politica Palazzo Chigi, la strategia di Enrico Letta è stata una sola: comando io, oppure vado via. Ma forse no.
Così ieri mattina, quando circolavano le prime voci sull’ipotesi che il segretario, presto ex, del Pd fosse pronto alla seconda grande fuga della sua vita dall’Italia, dopo quella del 2014 quando non resse alla vittoria di Matteo Renzi che con due telefonate e quattro incontri pubblici fece crollare il suo governo di larghe intese con Silvio Berlusconi prima e con Angelino Alfano poi, per piazzarsi a 22 mila e fischia euro al mese nell’Europarlamento del vari Panzeri, Cozzolino etc. etc., la prima banale – lo ammetto – reazione all’Identità è stata quella di dire “eccolo là, il solito Letta, pronto a scappare quando non controlla più lui il pallone. D’altra parte – abbiamo aggiunto nella riunione del mattino – è quello
delle vendette, delle mogli dei ministri in lista, del peggio che s’è visto, con il Pd sotto il 15 per cento”.
Eravamo convinti. Ma poi il segretario più situazionista che la sinistra ricordi, ha piazzato il poker. Ha smentito. Non se ne andrà. Non è vero che punta all’Europa. Non è vero che fuggirà, dimettendosi per la seconda volta dal parlamento italiano. Prendiamo atto. E, in un Paese normale, avremmo dovuto esultare. Dicendoci che, in fondo, il nostro giudizio era sbagliato. Che lui resterà in prima linea, dietro – si fa per dire – a Stefano Bonaccini. O, se verrà l’Apocalisse, alla Elly Schlein.
Poi ci siamo guardati in faccia e ci è venuto da ridere. Perché, caro segretario, le biografie posticce dei giornali sono ormai desuete. E viene d’istinto chiederti: ma dopo il disastro che hai fatto, ma perché davvero non ti prendi quel potere che ancora hai e te ne vai davvero in Europa, a Strasburgo, a dimostrarci che almeno un po’ meglio di questa gente del Qatargate lo sei? Faccelo questo favore, stavolta fregaci tutti. E vai dove ti porta il cuore. Perché peggio della tua fuga dopo la debacle della sinistra da te guidata, c’è solo Bonaccini (o Schlein, perché ci piace immaginare che possa essere, anche se non sarà) con te seduto in Parlamento che assisti al nuovo corso del Pd da un luogo del passato, come se tu fossi – e questo te lo concedo, non lo sei – un Soumahoro qualunque.
In fondo l’errore più grande che hai fatto non è stato andartene in Francia quella volta là, chissenefrega, la sinistra non è fatta (ahahahaha) di individualisti. L’errore vero, quello che paga l’Italia che oggi è guidata dalla destra più destra di sempre, almeno nell’era repubblicana, è stato accettare di tornare quando gli stessi dirigenti disperati e desueti con cui tratti oggi il tuo futuro ti hanno chiamato per dirti che Renzi se n’era andato.
E che servivi tu. Per scatenare l’applauso sull’Aurelia. Quando ti hanno dato, anzi ti sei conquistato fra gli applausi unanimi, la poltrona di capo della sinistra. Anzi del Pd.

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