Ambiente

Il tesoro nascosto e la transizione fatta in casa

di Angelo Vitale -


Il litio, e poi il silicio, il rame, il cobalto, il nichel, il manganese, la grafite, lo zinco. Materie rare ne consumiamo sempre di più. Lo stesso alluminio, che in Italia è riciclato da anni con risultati da record, viene sempre più utilizzato nell’automotive rispetto al passato. Rare, perché non sufficienti. Ognuno deve puntare a fare da solo, dice l’Europa. Ma poi? “Abbiamo 15 di quelle 34 materie indispensabili per la transizione”, dice il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso. Ma dove? “Le miniere sono in gran parte in Liguria, Toscana, Sardegna, Campania e nella catena alpina, nella quasi totalità in aree protette e in parchi naturali”. Aree protette, quindi. Quelle tutelate dalle leggi dello Stato e dalla stessa manovra normativa dell’Europa. Per svoltare verso l’elettrico, fa capire Urso, “bisogna scavare dal suolo per realizzare quello che serve, bisogna estrarre i minerali, le terre rare. Bisogna riaprire i giacimenti, poi costruire gli stabilimenti”. E quasi fuori dai denti aggiunge: “Meglio farlo qui che in Congo, dove non c’è rispetto per l’ambiente e per i lavoratori. Noi abbiamo qui uno dei più grandi giacimenti di cobalto in Europa”. E ancora: “L’Europa ci dice che dobbiamo fare in fretta per la transizione ecologica. Ci pone obiettivi ambiziosi, il 10% di estrazione di materie prime critiche da qui al 2030, del 40% di lavorazione e 15% di riciclo in appena sette anni, partendo praticamente da zero. Sul riciclo l’Italia invece sa fare meglio anche di altri paesi europei”. E poi spiega: “Abbiamo aggiornato le mappe. La gran parte di queste zone sono in aree protette. E allora l’Europa ci dica con chiarezza come dobbiamo raggiungere questo obiettivo e ci ponga nelle condizioni di farlo. A partire dalla semplificazione delle procedure per le autorizzazioni, che la Cina fa in tre mesi e l’Europa in quasi 10 anni”.
Ci vuole un Piano minerario nazionale, un’adeguata capacità di estrazione e raffinazione dei minerali. Lo spiega Gianclaudio Torlizzi, founder di T-Commodity: “Serve una mappatura geologica del Paese, non trascurando i fondali marini. L’individuazione dei giacimenti da sfruttare dovrà andare di pari passo con l’aggiornamento delle normative sull’attività mineraria, oggi ferme ad un Regio Decreto del 1927, poi modificato per includere, tra gli ‘8o e i ’90, le Regioni. Dopo i giacimenti, vanno individuati i siti per la raffinazione”. E qui ritornano in campo i localismi: “L’attività di raffinazione riveste un’importanza superiore a quella mineraria. Se è altamente probabile che dal processo di mappatura della crosta terreste nuovi giacimenti di minerali verranno individuati, importanti colli di bottiglia rimarranno sulla parte relativa alla raffinazione, attività particolarmente energivora e inquinante”.
Raffinare le maniere rare non sarà meno inquinante ed energivoro di quanto non lo sia in Africa e nei Paesi orientali. Da noi, alle direttive europee, si aggiungono i freni dei territori, quasi sempre dominati dalla sindrome di Nimby. Una strada che Torlizzi propone di affiancare a quella ove l’Italia va fortissimo, il circular: “L’Italia si faccia portavoce in Europa per l’adozione di un meccanismo che disincentivi l’export di una delle poche materie prime di cui dispone: il rottame, fondamentale per puntare alla decarbonizzazione nel siderurgico e dei metalli. Abbiamo fatto uscire, solo nel 2021, 191 mila tonnellate di rottame di alluminio, 178 mila di rame, 17 mila di zinco, 4 mila di piombo e 1.200 di nichel”.


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