Politica

PRIMA PAGINA – Il Todde Day, così cambia (per tutti) la corsa alle Europee

di Domenico Pecile -


Il voto in Sardegna manda in analisi un centro destra rintronato per evitare un punto di non ritorno nei rapporti interni, rimanda un centro sinistra ringalluzzito per capire se una rondine fa primavera e mortifica i centristi in eterna attesa di Godot. La Meloni, costretta ad assumersi buona parte delle colpe elettorali per avere imposto il sindaco di Cagliari sonoramente bocciato anche dagli elettori di centro destra, corre ai ripari e gioca di anticipo. Invita gli alleati a evitare guerre fratricide e manda a dire urbi et orbi al suo elettorato che “impareremo dalla sconfitta”. Lei, ma anche gli alleati, lo dovranno fare molto in fretta.
Alle viste ci sono infatti le regionali dell’Abruzzo, dove il centro sinistra dovrebbe presentarsi con il campo larghissimo visto che della partita ci saranno anche Italia viva e Azione. Il centro destra non può fallire perché due indizi farebbero una prova. Una seconda sconfitta porrebbero la coalizione di governo di fronte a un possibile punto di non ritorno e le Europee si trasformerebbero in un’incognita politica inquietante.
Ma se Meloni piange, Salvini non ha alcun motivo di ridere, né può scatenare la vendetta perché la candidatura di Solinas è stata bocciata dalla stessa Meloni. I problemi che il Capitano è chiamato a risolvere fin da subito non ammettono né ripicche né vendette. Tuttavia, il percorso del governo rimane lastricato di insidie. Dirimente diventa a questo punto la battaglia sul terzo mandato. Salvini non può rinunciare alla sua roccaforte del Nord, rappresentata da Lombardia, Veneto e Fvg. Una linea del Piave che tuttavia non gli garantisce sonni tranquilli. Zaia, Fontana e Fedriga scalpitano. La svolta nazionale del partito è miseramente fallita. E la svolta a destra della Lega è contestata non soltanto da Bossi e dai suoi fedelissimi, ma anche dall’ala moderata del partito che, vedi caso, è rappresentata proprio dai tre governatori. Che hanno contestato anche l’amore a prima vista del loro leader nei confronti del generale Vannacci finito nel mirino di un’inchiesta e di cui ha preso immediatamente le difese.
Ma neppure la Russofilia – affidata a più riprese al vice e fedelissimo portavoce, Andrea Crippa – ha fatto fare salti di gioia alla troika dei governatori. Insomma, da qui alle Europee, passando per l’Abruzzo, Salvini avrebbe tutto l’interesse a fare un po’ d’ordine, cercando di capire dove vuole portare il suo partito per evitare che quel 10 per cento che rincorre in Europa si trasformi nel suo canto del cigno. Dunque, i problemi della coalizione sono altri. A cominciare dalla scelta della classe dirigente che ha già causato diversi importanti incidenti di percorso. Sì, l’Abruzzo diventa un trampolino di lancio per le Europee pieno di incognite.
Conte e Schlein si godono legittimamente questo risultato arrivato al fotofinish, che da un lato conferma che il campo largo potrebbe essere il grimaldello elettorale per rovesciare i rapporti di forza con il centro destra, ma dall’altro racchiude anche un limite intrinseco. Soprattutto per Schlein. La quale continua a sponsorizzare l’accordo con i 5S come la via più percorribile per battere la destra, ma nel farlo si accorge che la coperta del Pd è corta. C’è infatti una fetta dei dem che non ne vuole sapere dell’abbraccio con Conte e che preferirebbe guardare a Calenda, Renzi e Bonino. Ma allora mancherebbero i numeri per l’alternativa. Conte – padre padrone del M5S – festeggia ma fa capire che il campo largo è ancora un concetto che vuole modellare a suo piacimento. E attende il dopo Bruxelles per capire come si definiranno i rapporti di forza. Conte approfitta del suo ruolo dentro un partito personale che non ammette eterodossie e sicuramente continuerà ad alzare il prezzo. Finché lui e Schlein faranno gli innamorati tutto filerà liscio. Dopo il voto di giugno si parlerà di premier. Dunque lo scontro è solo rimandato.


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