Editoriale

Il voto, i diritti e i doveri

di Adolfo Spezzaferro -


Massima libertà, massima responsabilità. Le parole del presidente della Repubblica Sergio Mattarella ci mettono di fronte alla madre di tutte le questioni sulla democrazia e la rappresentanza politica. Noi siamo una repubblica rappresentativa parlamentare: i cittadini eleggono direttamente i parlamentari e di fatto indicano chi vorrebbero come premier. Infatti il leader del partito o della coalizione che prende più voti è il candidato premier che dovrebbe essere riconosciuto come tale dal Parlamento e dal capo dello Stato. Funziona così, almeno finché non sarà varata la riforma del premierato, con cui l’elezione del presidente del Consiglio sarebbe diretta. Alla base di tutto questo però c’è sempre e comunque il voto. Siamo in democrazia e il voto viene considerato un diritto-dovere. Il problema però è che tanti, troppi cittadini che potrebbero votare ormai da tempo non esercitano più questo diritto, sottraendosi a questo dovere. Si fa un gran parlare del fatto che i nostri rappresentanti politici siano eletti e ci governino pur essendo espressione di una percentuale di elettori in proporzione troppo bassa rispetto a quanti sono gli aventi diritto – un problema di rappresentanza. Ecco perché ieri Mattarella nel corso della conversazione con dodici giovani creator digitali sulla “Costituzione in shorts”, ha ricordato che “la sovranità popolare fu definita da un costituente come un dovere irrinunziabile”. Torna dunque una parola chiave – “dovere” – che noi siamo abituati a vedere abbinata a “diritto”. “Il popolo”, è il monito del capo dello Stato, questa sovranità “deve esercitarla per mantenere, consolidare e sviluppare la democrazia”. Quindi il passaggio più importante: “Per questo spero torni a crescere la partecipazione al voto nelle elezioni”, è l’auspicio del Presidente. “Perché quello è più di ogni altro il momento in cui il cittadino diventa protagonista ed esercita la sovranità”, ha concluso Mattarella.
Massima libertà di esercitare il diritto di voto, massima responsabilità nel non andare a votare, quindi. Quello che ci preme sottolineare è che non tutti coloro che si astengono dal voto non si recano alle urne perché non si sentono rappresentati, non si riconoscono in alcuno dei programmi o dei partiti o dei leader in lizza. Quello che ci preoccupa è che tanti, troppi elettori non vanno al seggio perché disamorati dalla politica e dalle istituzioni in generale. Questi cittadini esercitano il loro diritto di non partecipare alle elezioni, assumendosi la responsabilità di non attenersi al dovere di preservare e alimentare la sovranità e quindi la democrazia. Questo è il punto dirimente. Ecco perché sempre Mattarella ha fatto riferimento – a maggior ragione vista la platea di giovani elettori – agli influencer e alla loro responsabilità. Chi fa l’influencer, ha spiegato, “ha molto seguito tra i giovani, ne influenza i comportamenti e ciò lo rende responsabile dei suoi follower e deve pensare come viene interpretato quello che trasmette, è una domanda da porsi”, ha sottolineato il capo dello Stato. Al di là di quanto un influencer possa effettivamente spostare voti o far cambiare idea agli astensionisti, quello che ci preme è il richiamo alla responsabilità. Che ci riporta a quel diritto/dovere che spesso viene considerato solo un diritto da non esercitare e non anche un dovere da adempiere. Siamo bombardati continuamente dal legittimo sacrosanto concetto della tutela dei diritti e dell’importanza di dar voce ai propri diritti. Torni pure il senso del dovere, però: si torni al seggio elettorale, facciamo salire l’affluenza. Non ce lo chiede solo il Colle. Ma la democrazia.


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