Cultura & Spettacolo

Ilary Unica fa gol, come incendiare un’icona Capitale

di Riccardo Manfredelli -


Seguo quasi per niente il calcio, eppure quando rivedo le immagini del ritiro di Francesco Totti mi emoziono sempre. Umanamente, invece, il mito attorno all’ex capitano della Roma mi è apparso opaco e scricchiolante sin dall’intervista che ha rilasciato al Corriere della Sera un paio di mesi dopo la separazione e ne trovo conferma oggi dopo aver visto “Unica”, il documentario Netflix attraverso il quale Ilary Blasi fornisce la propria versione dei fatti.

Non coltivo più alcun ragionevole dubbio sul fatto che Totti abbia agito per ripicca, fomentato dal sospetto che l’ex moglie (“A quel caffè ci sono andata e, a saperlo, avrei fatto pure altro”) potesse averlo tradito. Un sospetto e nient’altro è bastato all’ottavo re di Roma, la cui corona oggi è a dir bene cadente, per costruirsi una vera e propria doppia vita.

Che coinvolge “sentinelle”, paparazzi, direttori di riviste patinate; una città tutta intera, silenziosa, complice, connivente perché legata a “er pupone” da un debito di eterna gratitudine: “Per un giornale di Roma dire che Totti avesse l’amante, voleva dire perdere 40.000 copie”, notava Roberto D’Agostino, il cui sito, Dagospia, è stato il primo a lanciare la bomba della crisi in casa Totti. Facendo un parziale mea-culpa (“Ho dato della m**da ai giornali perché credevo a mio marito. A riguardarmi sono stata una cretina”) Ilary Blasi appare lucidissima, fornendoci lo spunto per un dibattito che va ben oltre le beghe familiari tra due personaggi noti: “I giornali erano tutti contro di me. Di lui si parlava come del campione, di me come della ex letterina”.

Già la scelta lessicale sembra suggerire all’opinione pubblica quale sia la parte giusta da cui stare: non è forse anche questo patriarcato? Cioè riconoscere all’uomo, una posizione privilegiata di potere per consuetudini sociali e culturali radicatissime e dure a morire?

Da questa posizione privilegiata un uomo, che sia un calciatore o un idraulico, sente di potersi permettere tutto: “Per recuperare la sua fiducia mi ha chiesto di non vedere più Alessia (l’amica che era con lei il giorno del caffè “incriminato”,ndr.) che mi cancellassi dai social e che smettessi di lavorare”. E’ forse questo il passaggio più esplosivo e iconoclasta di “Unica”: quante donne hanno vissuto o vivono le stesse dinamiche di Ilary Blasi senza avere una stanza di casa completamente adibita a scarpiera e un conto in banca tale da potersi permettere un investigatore privato?

Ammetto di aver trovato poco interessanti, forse perché eccessivamente distanti dalle dinamiche di una separazione “normale”, le sequenze in cui Blasi ha raccontato il tentativo rocambolesco di rientrare in possesso di borse e scarpe, prese “in ostaggio” dal marito che rivoleva indietro i suoi Rolex; tuttavia, se proprio devo augurarmi qualcosa per quando l’attenzione del gossip su “Unica” sarà andata progressivamente a scemare, è che le parole di Ilary possano aiutare chi l’ha ascoltata a riconoscere i tratti di una relazione che non funziona più.

Stando sempre tuttavia ben attenti (la parabola discendente di Totti che viene fuori da questo racconto funziona da monito, ndr.) a chi mitizziamo, a quali “bandiere” scegliamo per le nostre battaglie. Perché le icone, prima o poi, si bruciano.


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