Economia

IMPRESE ZOMBIE

di Angelo Vitale -


Un sistema imprenditoriale collassato, perché flagellato dall’emergenza sanitaria. Sostanzialmente tenuto in vita da aiuti di Stato e sostegni finanziari al debito e che quindi evidenzia l’urgenza di una manovra diversa che lo aiuti ad uscire dalle secche. Un Sistema Paese che manifesta la dinamicità delle aziende nel risanarsi ma che, per gli strascichi finanziari che lascia e per il continuo e veloce emergere di nuove imprese in affanno, è frenato nella crescita. Perché, detto in soldoni, le risorse necessarie ad aiutare le imprese in difficoltà potrebbero invece essere utilmente utilizzate per gli investimenti. E invece non lo sono mai, ogni volta. Questa la fotografia di uno studio Cerved che utilizza la metafora horror per classificare il sempre più ampio segmento imprenditoriale in panne: Anatomia delle imprese zombie. Il parallelismo con il genere, per la verità, è ingeneroso, perché la spinta a risanarsi e a rientrare nella partita del mercato c’è, pur se finanziate dal Fondo di Garanzia, che risulta quindi essere strumento di stabilità e resilienza.
Nel biennio 2020-21, a ricevere finanziamenti è stato il 28,8% delle aziende zombie nel 2019 e il 69,6% è riuscito a rimettersi in sesto grazie a 3,1 miliardi di sovvenzioni. Il rimanente 30,4% è uscito dal mercato o è tuttora zombie, trascinandosi dietro 1,3 miliardi di finanziamenti andati perduti. In totale, nel biennio, le aziende zombie risanate hanno superato le 40 mila unità. Da questo punto in poi, Cerved racconta l’effetto Sliding doors. Le imprese zombie sono assai mobili: in Italia ce ne sono 23.262, per il 45,9% (10.675) finanziate dal Fondo di Garanzia con 7 miliardi a fronte di 20,4 miliardi di loro debiti.
“Tutto questo succede a causa della salvaguardia della tenuta economica e dei livelli occupazionali – spiega Andrea Mignanelli, ad di Cerved -, oltre che per contenere il rischio di insolvenza e di generare nuovi crediti deteriorati. Tuttavia, la presenza di imprese zombie pesa sul sistema produttivo, perché distrae capitali che potrebbero garantire rendimenti più alti e maggiore produttività altrove, rende difficile l’accesso al credito a imprese sane e startup, contribuisce alla stagnazione e disincentiva l’ingresso di nuovi operatori, aumenta il costo del denaro ed espone maggiormente il sistema alla trasmissione di shock finanziari. La crisi generata dal Covid è stata gestita con aiuti e prestiti. Ora però servono interventi mirati, basati su strumenti, dati e tecnologie che permettono di fare uno screening corretto delle imprese su cui investire”.
In poche parole, manca in Italia un metodo che faccia comprendere con certezza su qauali imprese puntare, senza finanziare a pioggia il debito ovunque si manifesti. Anche perché – dati Ocse – l’Italia è uno dei Paesi a più alta incidenza di imprese zombie, subito cresciute nel 2020 a causa della pandemia, quando gli aiuti di Stato hanno contribuito a mantenere sul mercato realtà molto fragili.

Dinamici, come detto, i flussi in entrata e in uscita. Nel 2020 le zombie erano schizzate a 40.218 per i 26.685 nuovi ingressi, nonostante più della metà si fosse risanata. Nel biennio 2020-21, il 22,6% usciva definitivamente dal mercato, con uno strascico di 12,2 miliardi di potenziali crediti deteriorati. Al contrario, nel 2021 la ripresa economica favoriva 27.762 imprese con 71 miliardi di debiti, ma altre 10.806 vi entravano. Con debiti in aumento, fino a 130,4 miliardi. In maggiore affanno, tra i comparti, il sistema moda e le costruzioni.

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