In Giappone si parla di dotarsi di armi nucleari
La paura del disimpegno americano, un dibattito uguale a quello europeo
In Giappone sta prendendo piede un dibattito che nessuno si sarebbe mai neanche aspettato: il Paese di Hiroshima e Nagasaki, dell’orrore della bomba atomica che distrugge due intere città e diventa il simbolo del paura che ha caratterizzato quasi tutto il ‘900, deve o no dotarsi di armi nucleari? Il tema non è per niente banale. Perché, sullo sfondo, c’è il nuovo corso americano voluto da Donald Trump e la paura che il contingente militare statunitense possa iniziare a smobilitare.
Tokyo come Bruxelles, e il paradosso delle armi atomiche
Un po’ come sta accadendo in Europa. Da mesi ci si continua a ripetere che bisogna difendersi da soli. Che occorre fare di più perché l’America potrebbe presto stancarsi di spendere soldi, risorse e strutture per garantire la pace in giro per il mondo. Il tema è quello caro a Trump secondo cui gli alleati sono stati delle cicale (se non dei veri e proprio “ladri”) e occorre adesso che mettano mano alla tasca per pagarsi da sé armi e spese militari. Magari facendo la spesa proprio negli Stati Uniti. Il dibattito è molto simile a quello che sta iniziando a suscitare clamore e interesse in Giappone. Con la differenza che a Tokyo, per costituzione, fu vietata la ricostruzione di un esercito. Divieto, poi, parzialmente revocato solo negli scorsi anni. Ma il tema è un altro: dal momento che, come l’Ue, anche il Giappone ha un vicino alquanto potente. E cioè la Cina, oltre alla Corea del Nord che è una scheggia impazzita nello scenario.
L’ombrello nucleare
A distanza di ottant’anni dalla tragedia di Hiroshima e Nagasaki, il Giappone si interroga sull’opportunità di dotarsi di sue armi nucleari. Perché, come in Corea del Sud, la paura è che gli Stati Uniti facciano fagotto e non garantiscano più la copertura atomica in grado di esercitare un potere di deterrenza nell’area. Il dibattito inizia a incardinarsi dopo diverse interviste e prolusioni pubbliche da parte di esponenti del partito liberaldemocratico al governo. Come riporta Reuters, si tratta di una questione che non è per nulla secondaria. E che, per il momento, rimane confinata tra politici e sondaggisti. Ma che presto potrebbe dare una spinta nuova, e diversa, agli scenari asiatici.
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